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Ha postato la foto della nonna morta all’obitorio, la salma composta nella bara che doveva essere ancora chiusa e sigillata. Parte dei familiari non l’ha presa benissimo e tra fazioni contrapposte, divise tra chi accusava e chi difendeva la ragazzina, è dovuta intervenire la polizia ad arginare la lite che stava prendendo una deriva imprevedibile. Una deriva frutto dell’utilizzo eccessivo quanto equivoco dei social.
Un confine sottile tra il “comunico quindi sono” e la discrezione che richiedono alcuni situazioni dove alla privacy si somma il pudore che spesso viene travalicato, come dimostra questa storia esemplare, perfetta figlia dei nostri tempi, accaduta non molti giorni fa a Pesaro. Una ragazzina, con lo scatto veloce quanto inopportuno, ha portato a un intervento della pattuglia della squadra volante della polizia alla camera mortuaria di Muraglia.
Il commiato
Qui si erano riuniti i famigliari per la camera ardente di una signora anziana.
Un episodio forse ai limiti, di certo singolare e che la dice lunga sulla percezione dell’utilizzo dei social network tra i giovani, sempre pronti a immortalare ogni momento, anche quello, come in questo caso, molto intimo e privato. Una vita reale che finisce sempre più spesso in quella virtuale, senza filtri e confini rispetto a quello che non è consono fare. Tempo fa un ragazzino della baby gang di piazza Redi aveva postato una serie di storie su Instagram per narrare in immagini il momento in cui veniva portato in Questura dopo un’aggressione. Un altro aveva girato un video dove scassinava un distributore automatico, poi aveva chiamato la polizia per poter riprendere il loro arrivo. Un cortocircuito comunicativo in cui non sempre i ragazzini comprendono il disvalore di quanto si fa e di quanto si rende pubblico.
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Il Gazzettino