Il mondo guarda quel che sta accadendo in queste ore a Pechino. E torna la paura: la Capitale cinese ha infatti innalzato il livello di allerta dal terzo al secondo grado: ha...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Professore Roberto Cauda, direttore di Malattie infettive del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma, che cosa rischia allora l'Italia, proprio ora che i numeri danno coraggio?
«Certamente i numeri dei contagi stanno andando meglio, sempre con differenze da regione a regione. E' chiaro che in Lombardia dove i dati di partenza erano più ampi, la riduzione è più lenta ma comunque c'è. Ma questa diminuzione di casi non deve farcis entire al sicuro».
L'effetto Pechino può presentarsi anche nelle città Italiane?
«Purtroppo sì, il virus c'è ed è sempre in agguato. Nessuno può dare certezze, non sappiamo ancora cosa sia successo esattamente in Cina, in questi ultimi giorni, ma è verosimile ipotizzare che si tratti di un caso di importazione da fuori».
E' questo il rischio?
«Sì, il rischio è il caso che possa arrivare da fuori area: la morale è di non abbassare mai la guardia anche se i numeri vanno meglio, infatti andavano meglio anche in Cina».
Il Covid-19 non è scomparso, è un errore sottovalutarlo oggi?
«A questa domanda rispondono i nuovi casi della Cina. Finché ci sono focolai, anche esterni al Paese, dobbiamo mantenere alta l'attenzione: nel caso della Cina, infatti, da settimane ormai non si registravano i contagi».
Il virus è sempre così aggressivo?
«Il virus che ha circolato in Cina dall'inizio ha avuto una contagiosità minore rispetto a quello circolato in Italia, in Europa e negli Usa: sembrerebbe infatti che abbia avuto una mutazione, sotto questo aspetto».
Si trasmette ancora facilmente?
«Sì, parliamo di una malattia che senza misure di contenimento è vicino al livello 3.
Come evitare un caso Pechino qui in Italia?
«Per ora i numeri che osserviamo ci indicano un affievolimento e una decelerazione dei contagi. Ma il rischio, ripeto, è dietro l'angolo: per questo i numeri vengono dati tutti i giorni e si fanno valutazioni a livello centrale. Il rischio teoricamente esiste, nessuno se lo augura ma nessuno può dire che sia finita».
Come si procede ora?
«Voglio dare un messaggio: sono giuste le riaperture, per il Paese che non può restare chiuso, ma va fatto con un controllo centrale. Bisogna intervenire appena emerge un focolaio. In questa fase 2 avanzata, è fondamentale intervenire con tanti test, tracciare i contatti e mettere in quarantena i sospetti. La prevenzione si fa a monte, ma se il focolaio si verifica è importante spegnere il fuoco».
Esistono aree più a rischio?
«Direi di no, sono tutte a rischio. Se scoppia il focolaio si deve intervenire per fermarlo. E basta».
Una città come Wuhan, che ha già atraversato l'emergenza, non verrà colpita di nuovo?
«Se si riferisce alla possibilità di aver raggiunto l'immunità di gregge devo purtroppo dire che non è così: a Wuhan, città da milioni di abitanti, non ci sono stati tanti casi da raggiungere quel livello. Sarebbero dovuti essere molti di più, così come a Codogno o in Lombardia: abbiamo avuto tanti casi ma non abbastanza da poter parlare di immunità».
Le metropoli sono più a rischio, anche in Italia?
«Sì ma solo perché numericamente ci sono più persone. Ripeto però che il focolaio può esplodere ovunque. Finché il virus è in circolazione, come oggi, possiamo solo contare sulle misure di sicurezza e far sì che non vengano mai meno: mascherine, pulizia delle mani e distanziamento».
Il Gazzettino