Lunedì sera quando hanno fatto leggere a Giancarlo Giorgetti le agenzie di stampa con le dichiarazioni di Simone Valente, sottosegretario come lui a Palazzo Chigi e...
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E così è scattato il piano B con l'asse leghista dei governatori di Veneto e Lombardia, Luca Zaia e Attilio Fontana. E con, soprattutto, Beppe Sala, sindaco dem di Milano, pronto a stringere il patto pur di non perdere quest'occasione. Al contrario, Chiara Appendino lunedì sera ha preferito non parlare.
Ieri Giorgetti, con la soluzione già in tasca, ha tirato giù il sipario sullo «schema a tre», prospettando per Milano e Cortina un corsa senza sostegno economico dello Stato. Sicché Torino ha di nuovo colto la palla al balzo per ribadire il proprio no all'operazione anche in solitaria. Spiegando che, senza l'appoggio economico del governo, noi non possiamo farcela». Caso chiuso.
Dalle parti di Palazzo H erano sicuri che sarebbe finita così. Il travaglio con la giunta M5S è stato per molti versi molto simile a quello già vissuto con Virginia Raggi a Roma, proprio due anni fa. I rapporti anche in questo caso sono stati sempre molto tesi: a Torino il comitato «del no» ai Giochi si chiama Cono. E ha come simbolo la mole Antonelliana rovesciata che poggia su cinque cerchi di gelato che si sciolgono.
Inoltre, proprio lunedì, la città piemontese è stata l'unica a non girare a Giovanni Malagò il protocollo d'intesa per l'accordo a tre. Segno che una decisione era già stata presa e ben meditata ai massimi livelli. C'è però ora anche l'altra faccia di questa medaglia.
I vertici del M5S, ormai a partita persa, hanno subito iniziato ad accusare la Lega di aver giocato di sponda con il Pd. E cioè con Beppe Sala. Un forno inedito, dopo quello già aperto con Forza Italia, che dal Carroccio minimizzano: «Sui territori noi siamo abituati a pensare al pragmatismo di chi fa le cose. Al di là del colore politico». Sarà anche così. Ma quanso ieri sera - dopo la visita di Malagò a Giorgetti a Palazzo Chigi - è scattato il via libera alla doppia candidatura molti parlamentari vicini a Di Maio hanno masticato amaro. Con ragionamenti di questo tipo: «Va bene, si fa per dire, Berlusconi e tutta la partita sulla Rai, ma adesso siamo arrivati anche all'intelligenza con il Pd: ma come si fa?». Sono questi gli effetti collaterali, ma poi non tanto secondari del Piano B scattato d'urgenza l'altra sera. Una mossa vista dai leghisti come necessari perché, come ha detto Salvini «sarebbe un peccato» perdere questo treno. Una stretta a tenaglia che, vista dall'entourage, di Di Maio suona come un tradimento a favore di un asse inedito tra Lega e democrat. Nel mirino finisce anche Malagò accusato di essere il cerimoniere di questo accordo in compagnia di Giorgetti. Tanto che quando Di Maio ha capito il gioco ha iniziato a bombardare il Comitato olimpico sugli sprechi, un fronte inedito tra la massima istituzione dello sport italiano e il vicepresidente del consiglio. In questa vicenda ritorna poi la figura di Simone Valente. Fu proprio il deputato ligure del M5S due anni fa a salire in Campidoglio con un drappello di parlamentari per vigilare manu militari sul «no» di Virginia Raggi alle olimpiadi. Preparando prima una mozione da far votare in Aula e organizzando la conferenza stampa di rinuncia alla candidatura di Roma 2024. Questa volta, però, per l'Italia potrebbe finire diversamente. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino