La pena deve avere una «funzione rieducativa» anche se il condannato la sta già scontando solo in fase di custodia cautelare e non è ancora arrivata una...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Niccolò Bettarini rischiò la vita nel pestaggio: «Quelle ferite erano potenzialmente mortali»
Niccolò Bettarini, un imputato ammette: «L'ho colpito con una coltellata»
E lo ha mandato agli arresti domiciliari con l'obbligo, però, di frequentare un centro di cura per tossicodipendenti e una comunità dove dovrà lavorare, proprio per favorire quella «riabilitazione» a cui si è mostrato già disponibile. Il 30enne, accusato di aver sferrato le 9 coltellate al figlio 20enne dell'ex calciatore e della conduttrice tv e che aveva ammesso in parte i fatti, era stato condannato a gennaio in abbreviato dal gup Salvini alla pena più elevata, rispetto a quelle degli altri tre imputati, anche loro arrestati per tentato omicidio e che hanno ottenuto i domiciliari nelle scorse settimane (uno, però, è tornato in carcere dopo un'evasione).
Nel provvedimento il gip fa presente che, «nonostante la consistenza della pena» e i «precedenti penali dell'imputato», devono essere «tenute in considerazione alcune osservazioni» degli avvocati Robert Ranieli e Antonella Bisogno. In primo luogo, la «storia di difficile vita familiare con genitori dipendenti dall'eroina ed il padre a lungo detenuto», una situazione che ha portato il giovane «ad una precoce dipendenza da sostanze stupefacenti e alla commissione di una serie di reati». In più, il giudice rileva che da quando è detenuto il 30enne «ha seguito un iniziale percorso presso il Sert» del carcere e «il Centro accoglienza per le dipendenze e il disagio sociale», il 15 febbraio scorso, ha stilato per lui un «programma terapeutico» con colloqui «medici, psicologici e socioeducativi e costanti controlli tossicologici».
Ed anche un «percorso di giustizia riparativa» che potrebbe concretizzarsi, in futuro, anche con un incontro con lo stesso Bettarini. Inoltre, don Claudio Burgio, presidente della Comunità Kairos, il 13 febbraio si è reso disponibile «ad accogliere subito Caddeo» che potrà lavorare «nell'ambito della cucina e della manutenzione della Comunità». Il giudice evidenzia, poi, l'inizio «di una riflessione» da parte di Caddeo e di una «presa di consapevolezza sulla propria precedente condotta di vita». Da qui, la decisione di concedergli i domiciliari a casa della fidanzata, ma con l'obbligo di frequentare i due centri per curarsi e lavorare. Centri che potranno «favorire un processo di reinserimento e l'uscita dalla tossicodipendenza di Caddeo», che ha due figlie piccole. Il 30enne, però, ogni tre mesi dovrà attestare la frequenza nelle due strutture al giudice e, se non seguirà le prescrizioni, i domiciliari saranno revocati. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino