Roma, muratore ucciso in strada a Casal de' Pazzi. La moglie accusa: «Quell'uomo ci minacciava da giorni»

L'ipotesi di una vendetta: Michele, 33 anni, avrebbe difeso un'amica dal marito violento

Roma, muratore ucciso in strada a Casal de' Pazzi. La moglie accusa: «Quell'uomo ci minacciava da giorni»
Mihai Stefan Roman, Michele per chi lo conosceva in Italia, il muratore romeno di 33 anni, freddato con due colpi di pistola alle spalle mercoledì sera mentre era in strada...

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Mihai Stefan Roman, Michele per chi lo conosceva in Italia, il muratore romeno di 33 anni, freddato con due colpi di pistola alle spalle mercoledì sera mentre era in strada a Casal de' Pazzi, era minacciato da settimane e viveva nel terrore. Questo da quando la moglie aveva raccolto le confidenze di un'altra donna, consorte di un pregiudicato albanese, vittima di violenze domestiche. L'aveva aiutata a liberarsi dall'incubo e dalle botte, a trovare il coraggio di ribellarsi all'aguzzino che le dava il «permesso» di uscire di casa solo per andare a prendere il figlio a scuola, che la registrava con un microfono quando lui non c'era e che non aveva esitato a distruggerle il telefonino non appena saputo delle confidenze fatte all'amica romena. Un affronto imperdonabile, soprattutto dopo che era stato cacciato di casa. L'albanese era diventato una furia, se la prendeva con Mihai, avevano litigato ed erano venuti anche alle mani: «Avete rovinato la mia famiglia», «se tua moglie non sta zitta, vi sistemo io, vi rovino», questo il tenore delle intimidazioni, di persona e per telefono. Mihai lo aveva detto alla moglie: «Mi farai ammazzare».

 


«ATROCE REGALO»
La donna, ieri, è stata ascoltata a lungo e più volte dai carabinieri del Nucleo Investigativo di via In Selci che indagano sull'omicidio. E ha raccontato delle liti con l'albanese (che a casa deteneva una pistola), delle minacce, di Mihai che aveva sempre più paura e si era chiuso in se stesso. E ha pianto disperata perché in cuor suo ha un presentimento: che l'esecuzione del marito, avvenuta proprio l'8 marzo, possa essere stato «il mio regalo più atroce per la festa delle donne: la mia famiglia rovinata. Aveva le pastarelle in mano quando lo hanno ammazzato». Gli elementi forniti dalla donna sono ora al vaglio degli inquirenti che, però, non escludono alcuna pista data la modalità feroce dell'omicidio.

 

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Il profilo di Mihai non parla di droga e di spaccio. Ha un precedente per reati contro il patrimonio, «il furto di un motorino avvenuto molti anni fa quando era ragazzo», spiega un cugino. E nella casa a mezzo isolato da via dei Selmi, dove si è consumata la tragedia, i familiari parlano di un uomo «che usciva la mattina all'alba per andare in cantiere e beveva una birra al ritorno con gli amici davanti all'alimentari romeno (lo stesso davanti al quale gli hanno sparato, ndr) al ritorno». I suoi figli, due gemellini, lo stanno ancora aspettando. Non sanno che il papà è morto. «Lo chiamano in continuazione al telefono, vogliono andare a pesca con lui come in tutti i week-end. Pescare era la grande passione di Mihai», aggiunge un'altra cugina. La droga? La moglie e i parenti l'hanno cercata ovunque in casa: «Ne hanno parlato i giornali, così ci è venuto il dubbio che lui potesse nasconderci qualcosa, che fosse finito in un brutto giro, ma non abbiamo trovato nulla. Confidiamo nelle indagini, vogliamo giustizia».

 

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LA GANG E LO SPACCIO
Eppure la dinamica dell'agguato somiglia a quella di tanti altri che hanno insanguinato Roma nell'ambito della guerra tra bande per il controllo dello spaccio: due sicari vestiti di scuro e con i caschi integrali che hanno aperto il fuoco in sella a una moto tra la folla. Un terzo colpo avrebbe sfiorato un altro romeno che era vicino a Mihai, altri due si sono dileguati in preda alla paura. Sul marciapiede, ieri, c'erano ancora le chiazze di sangue del muratore. La madre, la sorella, la moglie e la suocera hanno pianto davanti ai lumini accesi, così altri conoscenti, stranieri e italiani. In quest'angolo di città, però, sono in molti a puntare il dito contro gli albanesi: l'uomo della lite e i suoi due fratelli, uno fresco di carcere, l'altro reduce da una comunità per il recupero dalla tossicodipendenza, da queste parti fanno paura. «Sono violenti - raccontano - tempo fa se l'erano presa con una famiglia di cubani che per il terrore tre settimane fa ha fatto i bagagli e si è trasferita altrove».


I carabinieri stanno eseguendo accertamenti di tipo balistico e sul telefono della vittima, procedendo anche all'acquisizione delle immagini di alcune telecamere, alla ricerca dei killer e della chiave del giallo.
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Il Gazzettino