Il medico di famiglia rischia di scomparire: nasce l'idea "ufficio unico del malato", ecco come funzionerebbe

«Ufficio unico del malato», il medico di famiglia rischia di scomparire: l'ipotesi è di creare strutture multifunzionali
Addio al ‘vecchio’ medico di famiglia. Il professionista che visita nel suo studio e con cui si costruisce un rapporto di fiducia lungo una vita (spesso anche di...

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Addio al ‘vecchio’ medico di famiglia. Il professionista che visita nel suo studio e con cui si costruisce un rapporto di fiducia lungo una vita (spesso anche di più, perché lo si passa tra genitori e figli) potrebbe presto non essere più la punta di diamante della sanità pubblica italiana. I medici di medicina generale (Mmg per gli addetti ai lavori) rischiano infatti di diventare la categoria più colpita dalla riforma sanitaria che verrà messa in piedi con il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Tra le proposte avanzate negli ultimi mesi da diverse associazioni di categoria, c’è quella di ridiscutere la posizione del medico di famiglia. L’idea è quella di assorbire questa figura in delle strutture multi-professionali. Una sorta di “casa unica del malato”, con professionisti che si alternano su turni e competenze. In pratica gli mmg non presterebbero più la loro assistenza relazionandosi con il paziente per costruire un rapporto duraturo, empatico, ma si limiterebbero a fornire delle prestazioni “standard”. Ovvero dei servizi incastonati in un mansionario e distribuiti in fasce orarie. Si andrebbe cioè incontro ad una spersonalizzazione della cura che penalizzerebbe soprattutto pazienti cronici o con più patologie, come gli anziani.

 

 

 

 

 

Le storie

 

A loro infatti l’idea di dover rinunciare al proprio medico non piace affatto. Anna, 72 anni, conosce il suo da sempre. Lo chiama spesso per le prescrizioni di routine o se ha qualche dubbio su un acciacco improvviso. «Conosco il mio dottore, so che posso contare su di lui. E lui conosce me. Mi ha curato per il diabete - racconta - sa cosa devo prendere se non mi sento molto bene. Senza di lui non saprei a chi rivolgermi. Anche per il vaccino contro il virus, non so come avrei fatto se non ci fosse stato lui a tranquillizzarmi». Anche Giovanna, una vita a mandare avanti la famiglia dopo che il marito si è ammalato, non ne vuole sapere di cambiare il medico che ha scelto anni fa, quando si è trasferita a Roma. «Io al mio non rinuncio. Mi aiuta anche quando devo trovare un posto dove far ricoverare mio marito per le cure. Mi segnala imedici che potrebbero fare al caso nostro. Ma che novità è questa?». Ma a farne le spese potrebbero essere un po’ tutti, perché tutti si troverebbero di fronte un medico sconosciuto ogni volta. E se è vero che con la digitalizzazione dei sistemi sanitari si punta a rendere diffusa la storia clinica dei pazienti, e quindi ogni medico potrà accedervi dalla postazione, lo è soprattutto che il fascicolo sanitario elettronico ora è poco più di un’idea. E i sistemi informatici della Sanità non comunicano tra loro. Non solo tra una Regione e l’altra, ma nello stesso territorio.

 

Disomogeneità

Una disomogeneità che è anche sociale. Lo spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale e delle cure primarie: «Se il medico si trova all’interno di una comunità di persone, allora diventa uno studio di vicinato, molto autorevole» con un ruolo anche rassicurante all’interno della comunità. «Laddove invece ci si trova nei centri delle città» dove i legami tendono già a sfilacciarsi «si ha già più difficoltà a creare un rapporto col paziente». Al netto di criticità territoriali ben note, da buttare c’è poco. Veneto e Lazio ad esempio, hanno una buona rete sul territorio, Ma c’è anche chi ancora oggi sconta le difficoltà di aree montane collegate poco e male, come in Calabria. «È una delle regioni che logisticamente e geograficamente ha siglato accordi, che non sono adeguati alle caratteristiche del territorio». E il sistema della medicina territoriale non funziona in Lombardia visto che, come ricorda Pina Onotri, segretario generale del Sindacato medici italiani (Smi), «la Regione ha disinvestito sulla medicina generale offrendo una risposta specialistica con il secondo livello ospedaliero accreditato ai privati». Qualcosa da cambiare c’è quindi, ma non sono i medici di famiglia. 

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Il Gazzettino