Manovra, più investimenti, meno tasse: Conte gioca l’ultima carta

E arrivò il giorno della prova d’appello. Questa sera Giuseppe Conte sarà a cena a Bruxelles da Jean-Claude Juncker. Obiettivo: provare a scongiurare la...

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E arrivò il giorno della prova d’appello. Questa sera Giuseppe Conte sarà a cena a Bruxelles da Jean-Claude Juncker. Obiettivo: provare a scongiurare la dolorosa procedura d’infrazione contro l’Italia, dopo che il governo ha risposto picche alle richieste modifica avanzate dalla Commissione europea. Oppure, se andrà male il primo tentativo, provare a limitare il danno trasformando la procedura per debito (roba da 60 miliardi l’anno) in una sanzione per deficit eccessivo. E non sarà facile: le porte di Juncker sono già praticamente sbarrate.

In più, nella sua bisaccia, il premier italiano non avrà granché. Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno ridotto al minimo i margini di manovra di Conte e di Giovanni Tria e sono pronti a sconfessarli, se premier e ministro dell’Economia, dovessero osare troppo. Tant’è, che Conte non potrà offrire - questa sera al presidente della Commissione e domani nei bilaterali a margine del summit sulla Brexit - neppure una leggera limatura del rapporto deficit-Pil al 2,4% che tanto allarma e irrita le cancellerie europee.

 

A Bruxelles, forti della sponda del Quirinale, Conte e Tria arriveranno però con una promessa. Con un impegno solenne che, nelle loro speranze, potrebbe ammorbidire la sentenza sui conti italiani: tutti i risparmi che arriveranno dalla partenza tardiva del reddito di cittadinanza e di “quota 100” per la pensione, andranno in investimenti e alla detassazione e alla decontribuzione delle imprese. Per spingere la crescita e avvicinarsi almeno all’obiettivo dell’1,5% in cui nessun istituto economico crede. E per limitare le spese assistenziali che tanto irritano la Commissione. Però nessuno a palazzo Chigi e all’Economia, dato che le due misure-bandiera di 5Stelle e Lega non sono state ancora definite nei dettagli, sa dire con esattezza l’importo di questo “tesoretto” potenziale. Ma c’è chi stima 4 miliardi. Mezzo miliardo è già saltato fuori nelle ultime ore grazie alla sanatoria delle irregolarità formali inserita con un emendamento al decreto fiscale.

Sulle pensioni il governo conta di risparmiare molti soldi rispetto ai 6,7 miliardi stanziati nel fondo inserito nella manovra. Il meccanismo delle finestre, il preavviso di sei mesi per gli statali che vogliono lasciare il lavoro, il divieto di cumulo con i redditi per chi lascia utilizzando lo scivolo di “quota 100”, dovrebbero far spendere, secondo le stime, tra 1,5 e 2 miliardi di euro. Un discorso analogo vale per il reddito di cittadinanza. La partenza ad aprile invece che a gennaio farebbe risparmiare altri 2 miliardi di euro. Non solo. Se una parte potrebbe essere trasformata in decontribuzione da versare alle imprese che assumono i “beneficiari”, andando incontro alle richieste di riduzione del cuneo fiscale avanzate da Bruxelles, gli altri soldi risparmiati verrebbero convogliati verso investimenti produttivi, quelli maggiormente in grado di garantire quei “moltiplicatori” che trasformano la spesa pubblica in Prodotto interno lordo. 

LA VIA STRETTA

Conte deve procedere in questa trattativa praticamente sottotraccia. Senza un mandato chiaro di Salvini e Di Maio. I vicepremier continuano a dichiarare di volere il «dialogo» con Bruxelles. Ma al tempo stesso annunciano, in perenne campagna elettorale e complice il calo dello spread, che «la manovra non cambia», «non si fanno passi indietro». Che reddito di cittadinanza e riforma della Fornero «partiranno il prima possibile», «nei tempi previsti». Il leader 5Stelle si è spinto fino ad annunciare di aver già mandato in stampa 6 milioni di tessere elettroniche con cui distribuire il “reddito” grillino. Insomma, ufficialmente i vicepremier negano la «rimodulazione» delle misure di spesa (16 miliardi in tutto: 7 a “quota 100” e 9 al “reddito”) che questa sera invece Conte andrà a promettere a Juncker. Ed è forse anche per questo che la parola d’ordine di Tria è: «Si negozia in silenzio». La risposta di Bruxelles però dovrebbe essere tutt’altro che incoraggiante.
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Il Gazzettino