Alla scadenza del termine, le 13 di ieri, gli emendamenti al testo della legge elettorale erano in numero abbastanza limitato: 318. Ripartiti tra tutti i gruppi parlamentari, con...
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Quanto all’impianto generale della riforma, era stato lo stesso Renzi a ribadire che «la legge non può saltare per uno 0,5 per cento. Sugli emendamenti ci confronteremo per trovare un accordo complicato ma possibile, con la consapevolezza - aveva aggiunto il sindaco - che, dopo otto anni, siamo a un bivio straordinario. Sono ottimista». Questa la conclusione del segretario del Pd, che non mancava però di sottolineare che se la riforma «viene affossata è difficile pensare a una speranza per questa legislatura». Parole, nella sostanza, condivise da Enrico Letta, che mostrava una - non sempre in passato riscontrabile - sintonia con Renzi. Diceva infatti il premier: «Sono fiducioso che l’iniziativa dei principali partiti, in particolare del mio, sulla legge elettorale e sulla fine della zavorra del bicameralismo perfetto possa arrivare a risultato positivo che rafforza il governo. Se c’è l’accordo il più felice sono io».
Da parte sua Forza Italia, dopo una riunione dei deputati, faceva sapere che l’intesa Berlusconi-Renzi «non si tocca. Qualsiasi modifica deve essere fatta in accordo con il Pd». Ribadito seccamente il no alle preferenze, per le quali si battono invece Ncd , M5S e Lega. Inamovibili gli azzurri anche sull’abbassamento dello sbarramento del 5% per l’ingresso in Parlamento dei partiti coalizzati. Tra i pochissimi emendamenti presentati dagli azzurri, uno però è destinato a far discutere e viene già battezzato ”salva-Lega“. Nel quale si prevede l’esenzione dalla soglia dell’8% nazionale per il partito che presenti proprie liste in non più di sette Regioni con un numero di abitanti non inferiore al 20% della popolazione italiana, e su questo limitato territorio conquisti l’8% dei voti.
Più di 30, invece, gli emendamenti inizialmente presentati dal Pd: trasversalmente firmati da esponenti di maggioranza e minoranza per non farli apparire come iniziative di corrente. Ma in serata, dopo una riunione dei 21 membri pd della commissione di Montecitorio con Renzi, sono stati ritirati tutti, salvo quelli sull’innalzamento della soglia per il premio al 38%, e sulle primarie regolamentate per legge.
Vista l’ampiezza della materia del contendere, la riunione della commissione prevista in notturna è stata rinviata a stamattina alle 8,45, non senza ripicche tra Brunetta e la responsabile riforme del Pd, Maria Elena Boschi, sulla responsabilità dello slittamento che mette a rischio il rispetto del calendario dei lavori che prevedeva l’approdo della legge in Aula entro domani. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino