Anche in caso di discutibili perizie sul vizio parziale di mente, i giudici devono propendere per quella che, pur nel «dubbio», consente al femminicida i relativi...
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Sorpresa mentre faceva jogging nei pressi di Sora (Cassino), la donna - Gilberta Palleschi, di 57 anni, solo per caso omonima del suo assassino - venne gettata a terra e aggredita sessualmente, chiusa ancora viva nel bagagliaio dell'auto, gettata in una scarpata e finita a colpi di pietra. Poi l'omicida andò a pranzo con un'amico e il giorno dopo oltraggiò il cadavere della vittima mentre i familiari e le forze dell'ordine la cercavano. Fu trovata dopo quaranta giorni. In primo grado, il Gup di Cassino aveva respinto la richiesta di perizia psichiatrica ritenendola «senza alcuna base scientifica», e condannò Palleschi - operaio saltuario, nato a Sora nel 1971 - all'ergastolo senza isolamento per effetto del rito abbreviato.
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La Corte di Appello di Roma, invece, nel 2017 riconobbe il vizio parziale di mente e ridusse la pena a venti anni dopo aver disposto la perizia che aveva messo in relazione un incidente stradale nel quale il Palleschi aveva riportato un trauma cranico nel 1995 e i comportamenti «socialmente aggressivi» che in seguito aveva sviluppato. In base agli ultimi studi - «recenti approdi» li definisce la Cassazione - sui comportamenti borderline, circa il 7,9% dei pazienti esaminati era divenuto aggressivo dopo aver subito un trauma cranico. Dalle indagini, era emerso che l'omicida dopo l'incidente aveva patteggiato una condanna per violenza sessuale nel 2009, aveva commesso altri tre episodi di palpeggiamento in strade di campagne nel 1997 e nel 2008, era stato condannato per non aver dato l'assegno di mantenimento a moglie e figlio a partire dal 2004. In sostanza, successivamente al 1996 - scrive la Cassazione - «emergeva un discontrollo degli impulsi a carattere progressivo».
Invano nel ricorso il Cassazione, il Pg di Roma ha fatto presente che la perizia «non ha formulato valutazioni di certezza diagnostica».
Il Gazzettino