Famiglia queer, il significato della parola e il valore per Michela Murgia: ecco cosa è

Libertà, in tutte le sue accezioni: di espressione, nei rapporti interpersonali, nei ruoli, sessuale e nella sfera familiare. Tutto questo è queer, un termine spesso...

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Libertà, in tutte le sue accezioni: di espressione, nei rapporti interpersonali, nei ruoli, sessuale e nella sfera familiare. Tutto questo è queer, un termine spesso usato da Michela Murgia per raccontare la sua quotidianità e le sue scelte di vita. Un modo per descrivere quella famiglia allargata, nel suo caso composta da dieci persone, che non condividono un legame di sangue ma uno di spirito. E per questo ancora più forte. Un nucleo fuori dai classici stereotipi, che vedono persone insieme per «costrizione sociale o culturale». Insomma, un amore libero da ogni vincolo. 

 

Il significato

La parola queer deriva dall'inglese e il significato letterale è «eccentrico, insolito, bizzarro». Come spiega la Treccani, il termine queer è stato introdotto nel dibattito pubblico e nelle scienze sociali, nel campo degli studi sulla sessualità, all’inizio degli anni Novanta.

 

 

Le prime apparizioni

La sua prima apparizione in ambito accademico è fatta risalire al numero speciale della rivista «differences» curato da Teresa De Lauretis, Queer theory. Gay and lesbian sexualities (1991, 3), che a sua volta raccoglieva gli atti dell’omonimo convegno che si era svolto nel febbraio dell’anno prima presso l’Università della California, a Santa Cruz. Contestualmente, sulla scena dell’attivismo gay e lesbico nordamericano fece la sua fugace, ma importante apparizione l’organizzazione Queer nation che, in modo provocatorio, e usando lo strumento delle azioni-spettacolo, contestava i pregiudizi e le rappresentazioni dell’omosessualità nei media.

 

L'evoluzione

I due eventi esemplificano efficacemente la doppia vita che l’esperienza queer avrebbe avuto nei decenni a seguire: da una parte, la dimensione teorica e accademica, che ne riconosceva le origini nella stagione del poststrutturalismo e la collocava pienamente sull’onda degli studi culturali; dall’altra, la presenza nell’agorà politica, nei movimenti per i diritti civili, nei luoghi di socialità, produzione e sperimentazione culturale.

 

L'attualità

Questo approccio teorico che enfatizza la mutabilità, l’instabilità, la provvisorietà delle identità si è materializzato in esperienze politiche e culturali che hanno provocato profonde discontinuità con i movimenti del passato. In primo luogo gli spazi dell’attivismo e della socialità queer sono fortemente promiscui: a differenza di gran parte del femminismo e di altre esperienze politiche del secolo scorso non si basano, infatti, sul separatismo, né sul principio di identificazione comune. In secondo luogo, differenziandosi anche dai movimenti per i diritti di gay e lesbiche di fine Novecento cui verrebbe spontaneo associarla, la politica queer ha abbandonato il terreno delle rivendicazioni identitarie, così come quello della ricerca della visibilità e rispettabilità gay e lesbica, a favore di pratiche performative e, spesso, del ‘politicamente scorretto’. Tra le novità certamente più suggestive di questa esperienza vi sono infatti proprio l’analisi e la pratica della performatività del genere, in gran parte mutuata dall’opera di Judith Butler (1990). 

La descrizione di Michela Murgia

«La parola più queer che esista in sardo è "sa sposa/su sposu". Letteralmente significa "fidanzata/fidanzato", ma nell'uso comune è piegata di continuo a rapporti con col fidanzamento non hanno nulla a che fare, così come col genere o con l'età. I padri e le madri chiamano così i figli, che la usano a vicenda e verso i genitori. I nonni e le nonne ci chiamano tutto il nipotame. Gli amici e le amiche si apostrofano in quel modo tra loro anche scherzosamente in forma tronca: "sa spò/ su spò". Nelle foto - aveva spiegato Michela Murgia postando alcune foto della sua famiglia queer - esempi di sposa e sposo stabili della mia vita. Sono personali, certo, ma non vogliamo siano più private. La queerness familiare è una cosa che esiste e raccontarla è una necessità sempre più politica, con un governo fascista che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo».

 

Nella famiglia queer di Michela Murgia il marito Lorenzo Terenzi e gli altri "Fillus de anima", figli dell'anima come scriveva nel suo romanzo più famoso, Accabadora. Il cantante lirico Francesco Leone, l'attivista Michele Anghileri e tante donne a lei molto legate, come le scrittrici Chiara Valerio e Chiara Tagliaferri.

«Nella queer family che vivo non c'è nessuno che non si sia sentito rivolgere il termine sposo/sposa in questi anni. Dopo lo sconcerto dei non sardi ha vinto l'evidenza: l'elezione amorosa va mantenuta primaria, perché nella famiglia cosiddetta tradizionale i sentimenti sono vincolati ai ruoli, mentre nella queer family è esattamente il contrario: i ruoli sono maschere che i sentimenti indossano quando e se servono, altrimenti meglio mai. Usare categorie del linguaggio alternative permette inclusione, supera la performance dei titoli legali, limita dinamiche di possesso, moltiplica le energie amorose e le fa fluire»

 

 

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Il Gazzettino