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Fratelli d’Italia ha alzato la barriera in difesa di De Angelis perché - dicono a via della Scrofa - «abolire la libertà di parola e di dissenso rispetto alle opinioni degli altri in Italia è inammissibile e nessuno può essere censurato». Dunque, fino a tardi l’intenzione è stata quella di non cedere agli attacchi della sinistra. E si è registrata una certa soddisfazione ai vertici di FdI perché non tutti i media, «a parte i nostri soliti avversari», si sono accodati agli attacchi a De Angelis il quale - si fa notare nelle stanze del partito - ha posizioni sue condivisibili o meno ma le ha espresse come può fare ogni altri cittadino. La linea dei meloniani è quella del basso profilo, del non parlare del tema, di tenersi cauti come Giorgia ha ripetuto a tutti dal primo momento in cui è scoppiato il caso. La linea del partito è che Marcello De Angelis «è un lavoratore e non un rappresentante del popolo; e un lavoratore mai può rischiare il licenziamento per le sue idee per quanto possano non essere gradite». Insomma blindare Marcello.
Secondo questa impostazione le sentenze, come quella relativa alla strage di Bologna, si rispettano; il coinvolgimento dei neofascisti nell’attentato del 2 agosto 1980 è «acclarato»; ma chiedere il licenziamento di De Angelis è da mentalità «totalitaria». Tutto ciò è stato trasmesso ai parlamentari tramite Ore Otto, l’opuscolo interno di Fdi, un vademecum giornaliero ideato dalla comunicazione di via della Scrofa per aiutare gli eletti a districarsi tra i principali temi di attualità.
Si è anche notata, fin dentro alle stanze di Palazzo Chigi, con un certo favore la posizione di silenziosa attesa che gli alleati di governo stanno tenendo su questa vicenda.
In FdI si sta cercando di ribaltare la narrazione: i liberali siamo noi e i censori sono quelli del Pd. A portare sostanza a questo tentativo di contrattacco politico-mediatico sono nelle varie chat del Palazzo e dintorni in cui gira un documento del ‘94 nel quale molta intellighenzia di sinistra esprimeva dubbi sulla condanna di Mambro e Fioravanti. I nomi: Luigi Manconi, Miriam Mafai (vedova di Pajetta), Giovanna Pajetta (figlia), Franca Chiaromonte (figlia) Marco Boato (ex Lotta Continua), don Luigi Di Liegro, Silvio di Francia (scomparso da poco e anche lui ex Lotta Continua), la regista Liliana Cavani e via così con centinaia di altre firme. Di più. A difesa di De Angelis la controffensiva meloniana sta schierando tutte quelle testimonianze, a volte remote come nel caso di Cossiga che credeva alla pista palestinese e non a quella neofascista, fatte di dubbi sulle condanne per Bologna che portò alla creazione del comitato “E se fossero innocenti?”. Vi figuravano tra gli altri Tony Negri e Liliana Cavani, Taradash e Minoli, Sandro Curzi e Oliviero Toscani.
NESSUNA RESA
E insomma tra le scuse di De Angelis nel suo post su Fb (testo molto controllato da chi di dovere e rispettosissimo verso Mattarella e i familiari delle vittime), il silenzio-assenso degli alleati (a parte qualche voce incontrollata), la prudenza estrema di Meloni che almeno formalmente ha rimesso tutto nelle mani di Rocca, e l’offensiva mediatica si è provato a non farsi travolgere dal caso. L’imbarazzo è tanto, e la scontentezza di Giorgia è profonda, ma si è decisa una strategia che non prevede la resa.
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