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Covid-19 e scuole, il grande nodo della pandemia pone ogni giorno questioni nuove da risolvere. E stavolta c’è da capire se è giusto o sbagliato lasciare entrare in classe fratelli e sorelle di studenti posti in quarantena perché entrati in contatto con un compagno positivo al virus. La condizione è tutt’altro che limitata a pochi casi sia su Roma che nella stragrande maggioranza delle città italiane. Succede questo: i parenti di un ragazzo posto in isolamento domiciliare, perché nella sua classe è stato accertato un positivo al coronavirus, vengono definiti “contatti secondari” sulla base dei protocolli sanitari e pertanto non soggetti alla quarantena fiduciaria fino a che non venga accertata la positività del ragazzo finito in isolamento. Cosa significa?
IL METODO
Che possono andare a scuola, uscire di casa, incontrare gli amici e per i genitori andare a lavoro. Ma qual è il rischio? Per molti virologi la situazione non è da sottovalutare, i presidi sono praticamente sommersi di richieste di chiarimento, le famiglie sull’orlo di una crisi di nervi. Perché - è questo il ragionamento di molti genitori - se ho tre figli e uno dei tre è in isolamento dopo essere entrato in contatto con un positivo è opportuno che gli altri vadano a scuola?» Tecnicamente fino a che al figlio isolato, cosiddetto “caso primario”, non venga riconosciuta la positività tramite tampone rapido o molecolare, gli altri possono uscire. E accade dalle scuole materne agli istituti superiori. «Mio figlio - racconta Marina C. - frequenta il secondo anno del liceo Linguistico Virgilio di Roma, un suo compagno ha il fratello in isolamento ma lui va regolarmente a scuola, è bizzarro perché non sappiamo se il fratello è positivo e se dunque anche lui ha contratto il virus e può essere contagioso».
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I NUMERI
Nel Lazio benché i casi di studenti positivi siano bassi la situazione non è completamente rosea.
In questo scenario si insinuano poi i cortocircuiti. Pia De Vito, altra mamma con tre figli iscritti in tre scuole diverse: «Nella materna del più piccolo “Mille colori” una compagna è risultata positiva e quindi la classe è andata in quarantena ma io ho anche altri due figli, uno iscritto alle elementari e la più grande al liceo Classico Seneca. Nessuno dalla Asl mi ha detto cosa fare e io poiché sono in smart-working ho preferito tenere tutti i miei figli a casa. Le dirò di più: al piccolo, sottoposto a tampone rapido, l’esame ha dato esito positivo ma poi il molecolare era negativo, si rende conto della confusione? Non tutti i genitori a scopo precauzionale tengono a casa tutti i figli che hanno se uno di loro è in isolamento perché entrato in contatto con un positivo ma anche per avere i referti dei tamponi ci vogliono giorni».
GLI ESPERTI
È questo infatti il problema nel problema: la mancata rapidità dei risultati per i cosiddetti “casi primari”. «I ragazzi in isolamento dovrebbero essere testati quanto prima», commenta Maurizio Sanguinetti, direttore del dipartimento scienze di laboratorio e infettivologiche del policlinico universitario Agostino Gemelli. Ma «i ritardi in questi giorni in cui si svolgono 20 mila tamponi al dì - spiega Enrico Di Rosa, a capo del Servizio di igiene dell’Asl Roma 1 - è inutile negarlo ci sono». Il rischio? «Quello di avere dei positivi non ancora noti che vivono con fratelli e sorelle che vanno a scuola», sintetizza Cristina Costarelli vicepresidente dell’Associazione nazionale presidi di Roma e del Lazio e dirigente del liceo Scientifico Newton. «Noi non possiamo porre in quarantena i contatti secondari, servono risposte rapide sui primari, a scuola quando ci sono fratelli e sorelle di studenti in quarantena metto la classe in didattica a distanza per qualche giorno ma più di questo non si può fare».
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Il Gazzettino