Coronavirus, a Tivoli medici bardati con i sacchi di plastica: la foto che indigna

E gli infermieri scrivono a Conte: non dateci bonus ma mascherine
Non bonus ma mascherine. All'ospedale di Tivoli per difendersi dal coronavirus stanno utilizzando anche i sacchi di plastica che servono per proteggere i capi spalla nelle...

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Non bonus ma mascherine. All'ospedale di Tivoli per difendersi dal coronavirus stanno utilizzando anche i sacchi di plastica che servono per proteggere i capi spalla nelle lavanderie.

Stanchi della retorica e di sentirsi chiamare eroi quando vanno in trincea senza fucili. Perché per medici, infermieri e inservienti che lavorano negli ospedali andare al lavoro senza mascherine vuol dire a affrontare a mani nude il coronavirus e quindi andare dritti verso un’altissima probabilità di contrarlo. Per questo un gruppo di infermieri del Pronto soccorso dell’ospedale di Tor Vergata ha preso carta e penna e ha scritto una lettera al premier Giuseppe Conte per protestare contro i soldi in più promessi. Sembra un paradosso ma dà l’idea di quanto siano in difficoltà le persone che ogni giorno sono impegnate a strappare vite umane dalla ferocia della pandemia.

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«Sono ormai 27 giorni che affrontiamo in prima linea l’emergenza di virale, in condizioni disumane per il corpo e per lo spirito, ma dopo la notizia del bonus premio per gli operatori sanitari coinvolti e travolti dal covid 19 di 100 euro non possiamo più stare fermi ad ascoltare», scrivono i sanitari che lavorano nel pronto soccorso del policlinico Tor Vergata nella lunga lettera indirizzata al presidente del Consiglio. «Chi ha scelto di fare questo lavoro non è un eroe, non è un missionario, non è un martire pronto a morire per la patria, ma semplicemente un professionista della salute competente che è al servizio del malato costantemente e soprattutto non può scegliere di tirarsi indietro» scrivono in un passaggio della lettera. «È stato veramente frustrante apprendere ancora una volta come questa professione non sia riconosciuta a livello nazionale» proseguono. Il gruppo di infermieri aggiunge poi: «Noi non li vogliamo questi soldi. Piuttosto li impieghi per la ricerca, anche in capo al mondo se necessario, dei dispositivi di protezione individuale per tutte le persone coinvolte perché la guerra non si combatte senza armi e noi non vogliamo morire mentre salviamo altre vite».


La metafora della guerra continua con tutta la sua violenza: al fronte senza armi. I sanitari chiedono da tempo anche una sorveglianza attiva, e quindi in una sola parola: tamponi, anche preventivi, non solo alle persone che risultano positivi al covid-19 conclamati. Già il decreto 14 del 9 marzo imponeva a medici e infermieri, tecnici, di sospendere l’attività solo nel caso di sintomatologia respiratoria o esito positivo per covid-19. Con i tamponi a tappeto invece si potrebbe procedere a separare, e quindi a organizzare, la vita e la trincea degli infetti dai non infetti. Ecco perché questo gruppo di sanitari rifiuta il bonus, i soldi, per chiedere invece delle protezioni fondamentali per poter continuare a stare in trincea, e quindi in ospedale accanto ai pazienti.
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Il Gazzettino