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Petto in fuori e cacciavite in mano, dal palco della Direzione del Pd, ieri Enrico Letta ha provato a serrare i ranghi dem. «Nessuno ci toglierà le castagne dal fuoco» arringa i suoi al Nazareno provando a solleticare il senso di responsabilità di chi - in un impeto crescente - non vede di buon occhio l'intesa con i cinquestelle e ragiona sull'opportunità di uno strappo. Un'asse che Letta però puntella, ancora una volta, fissando nuovi paletti. Sul punto, il più caldo, al netto del tentativo di slegare le due questioni, il discorso si incrocia con la necessità di una riforma elettorale. E così il segretario da un lato bacchetta gli isolazionisti dem: «Sono convinto che la autosufficienza non sia sintomo di forza, ma di debolezza». Ma dall'altro, poche ore prima del secco no del centrodestra alla riforma della legge elettorale, fa un passo proprio verso di loro: «Questa ricerca di alleanze va svolta qualunque sia la legge elettorale con la quale voteremo». Non lo nomina neppure, ma dalle parole di Letta - da sempre sostenitore del maggioritario - trasuda l'apertura ad un passaggio al proporzionale già maturata dalle diverse anime del partito la scorsa settimana in un convegno a porte chiuse organizzato negli uffici del Pd alla Camera. L'idea di queste ultime, con giovani turchi ed ex renziani in testa, sarebbe quella di tenere le mani libere la prossima primavera, per ragionare poi di intese sui temi e non sulle coalizioni. Un punto su cui però, Letta è più freddo: «Sono convinto che questa legge elettorale sia la peggiore in assoluto», specie dopo il taglio dei parlamentari. Ma poi precisa, tenendo sullo sfondo la proposta del Germanicum con sbarramento al 5%: «Dobbiamo fare in modo di arrivare a una nuova legge elettorale, ma non per cambiare le alleanze».
Il movimento
E qui sta il nodo di tutto. Le larghe intese con il centrodestra non sono un'opzione («Chi oggi è alleato di Orban, anche in Italia, è alleato di Putin») anche perché Letta esclude possa spaccarsi: «Non fatevi illusioni» dice. Il grande centro invece per ora resta solo un'idea. Altri ipotetici alleati solitari non danno garanzie nonostante l'ottimismo di Matteo Renzi di ieri alla presentazione del suo libro: «Prevedo che si voterà a maggio del 2023. Penso che possiamo arrivare a un 10%». Allora il segretario del Pd - che sotto traccia terrebbe in caldo l'idea di un campo largo che vada da Azione ad Articolo 1, fino proprio a Iv e LeU - non molla affatto il M5S, anzi.
Tornando alla Direzione dem è una sottile opera di rammendo di tutte le posizioni. Così Letta marca il territorio sui diritti, sul ddl Zan e lo Ius Scholae, spiegando come «Noi dobbiamo essere quelli che spingono il cambiamento anche a costo, in alcuni passaggi, di strappare». E poi chiude sminando il terreno sulla giustizia confermando la posizione dem - ovvero 5 no ai quesiti - ma nel rispetto delle scelte dei singoli. Il Pd, ha detto, «non è una caserma». Andando così incontro a quanti, da Andrea Marcucci a Stefano Ceccanti e Giorgio Gori, hanno annunciato alcuni Sì ai referendum.
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