Cassazione, la riununcia alla carriera non pesa sull'assegno all'ex

Giudici della Cassazione
La ex moglie che per libera scelta ha deciso di lasciare la sua professione per accettare un impiego part-time, e poi dimettersi anche da questo, non può far pesare il...

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La ex moglie che per libera scelta ha deciso di lasciare la sua professione per accettare un impiego part-time, e poi dimettersi anche da questo, non può far pesare il "ritiro" dal mondo del lavoro per ottenere l'incremento dell'assegno di divorzio dall'ex marito e che non è più parametrato al tenore di vita matrimoniale - in base all'orientamento della Suprema Corte con la sentenza "Grilli" - ma scatta solo se l'ex non è economicamente indipendente.


Lo sottolinea la Cassazione respingendo il ricorso di una signora che voleva più soldi dell'assegno da 800 euro al mese che l'ex le corrispondeva dopo la fine del matrimonio durato sei anni e preceduto dalla nascita di un figlio, ormai maggiorenne e convivente con il padre. È stata così confermata la decisione emessa dalla Corte di Appello di Roma nel 2015. La donna che «senza costrizioni» aveva lasciato la carriera da avvocato e poi il posto part-time, poteva contare su un appartamento di proprietà dal quale ricavava un affitto e aveva un terreno, ma voleva che il 'vitaliziò fosse elevato a 3800 euro al mese oltre alla casa coniugale, oppure a 5800 euro mensili nel caso in cui avesse dovuto lasciare l'abitazione. Agli 'ermellinì ha detto che lo stato ansioso che la attanagliava da quando il marito l'aveva lasciata, rendeva necessaria la sua permanenza nella casa coniugale.

«La conservazione del tenore di vita matrimoniale», le ha replicato la Cassazione con la sentenza 3015, «non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile». «A giustificare l'attribuzione dell'assegno - spiega il verdetto della Sesta sezione civile - non è quindi di per sè lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all'epoca del divorzio, nè il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l'assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della indipendenza o autosufficienza economica di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa». Per determinare la soglia dell'indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti dalla
«​coscienza collettiva»​ nel dato «​momento storico»​, senza fissarla  «​alla soglia della pura sopravvivenza nè eccedente il livello della normalità»​: insomma il giudice - spiega il verdetto - deve fare le sue scelte valutative, al passo con i tempi, «​in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile»​.


 E non basta sostenere di aver sacrificato la carriera per la famiglia: bisogna dimostrare quale
«​contributo»​ si è dato, con questa scelta, alla formazione del patrimonio familiare e comune. Così i supremi giudici hanno respinto le pretese di questa ex e le hanno lasciato l'assegno da 800 euro forse solo, o anche, perchè l'ex marito non ha chiesto di eliminarlo nè ribassarlo. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino