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Era già stato condannato in passato per avere abusato di due bambini e i giudici erano stati categorici: non avrebbe mai più dovuto lavorare a contatto con minori. Nonostante questo, quell’uomo era stato assunto come bidello in una scuola elementare del centro di Roma. E proprio tra quei corridoi aveva colpito di nuovo, abusando di un altro bimbo. Per questa vicenda, il Miur era stato condannato a risarcire con 228.257 euro la famiglia del piccolo e, ora, la stessa somma viene chiesta indietro non solo all’imputato, ma anche all’allora dirigente dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio che, pur avendo a disposizione tutti i dati per ricostruire il passato criminale dell’uomo, aveva inserito il suo nome nelle graduatorie del personale Ata, consentendogli di trovare un nuovo posto di lavoro vietato. Per entrambi è stato disposto un atto di citazione in giudizio.
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L’ASSALTO
Il bidello, per mesi, aveva tenuto d’occhio la sua preda: aveva guadagnato la fiducia del bambino facendogli piccoli regali. Poi, era entrato in azione: lo aveva seguito in bagno e lo aveva molestato. Non una volta sola. Ad accorgersi che qualcosa non andava era stata la madre del piccolo, che si era insospettita per gli strani atteggiamenti del figlio. Nel 2014 l’uomo è stato condannato a 6 anni di reclusione e all’interdizione in perpetuo «da ogni ufficio o servizio in istituzioni frequentate da minori», ha scritto il giudice.
Ma si tratta solo del primo step della vicenda.
Quindi, scrivono i pm contabili, il dirigente «era a conoscenza di questo episodio». Di più: era stato lo stesso ufficio a presentare una denuncia in Procura e ad aprire un procedimento disciplinare. Per l’episodio del 2005 il bidello era stato condannato a 2 anni, 2 mesi e 20 giorni di reclusione e «all’interdizione perpetua da qualsiasi incarico presso le scuole». Nonostante questo, sottolineano i pm, «ha continuato a lavorare nella scuola a stretto contatto con gli alunni». Nella domanda di aggiornamento alla graduatoria pubblica, nel 2008, il bidello non aveva risposto alla domanda sulle condanne penali pendenti, lasciando il modulo incompleto. Nel 2005, aveva dichiarato di essere incensurato.
NESSUN CONTROLLO
Il problema, sottolineano i magistrati, è che nessuno ha controllato. E in questo modo «il dipendente pluricondannato ha potuto continuare ad avere incarichi dagli istituti scolastici». E ha colpito ancora. Nel 2014, con la nuova condanna, il giudice ha anche disposto il risarcimento del danno, quantificato in sede civile nel 2020: il Miur ha pagato in tutto 228.257 euro, soldi pubblici che adesso vengono chiesti indietro ai responsabili. La maggior parte del danno erariale viene contestata al bidello, ma, sottolineano i magistrati, «la responsabilità, in parte, deve essere attribuita anche all’Ufficio scolastico regionale» per «l’inserimento nelle graduatorie di un lavoratore che aveva denunciato e nei confronti del quale aveva già instaurato un procedimento disciplinare per pedofilia».
Sotto accusa è finito l’allora dirigente generale dell’Usr, che ha attribuito al bidello l’idoneità a essere assunto. I magistrati - coordinati dal procuratore Pio Silvestri - bacchettano anche «la carente organizzazione dell’ufficio»: per anni non sono stati fatti «controlli adeguati sui precedenti penali del personale Ata», con un evidente deficit nella tutela dei minori. Al collaboratore vengono addebitati i tre quarti del danno: 171.192 euro. Al dirigente vengono invece chiesti 28.532 euro. Una parte di colpa sarebbe anche del dirigente scolastico, che avrebbe potuto accertare l’esistenza di precedenti penali. Un’omissione che, però, è precedente l’introduzione della normativa specifica sui controlli dei precedenti da parte dei datori di lavoro per la protezione dei minori.
Il Gazzettino