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Silvio Berlusconi crede alla sua possibile salita al Quirinale. Non è mai stato così esplicito, in proposito, come lo è sembrato ieri intervenendo telefonicamente al convegno dei democristiani di Rotondi a Saint Vincent. Ha detto: «Io sul Colle? Penso che Silvio Berlusconi può essere ancora utile al Paese, vista la stima che ancora mi circonda in Europa. Vedremo che cosa potrò fare, non mi tirerò indietro, e farò quello che potrà essere utile per l’Italia». Insomma il Cavaliere è pronto alla gara per la presidenza della Repubblica. Fa ogni giorno i conti dei possibili consensi (dovrebbe partire da circa 400 voti «sicuri», conta di averne una sessantina da sinistra e grillini, ma non c’è proprio niente di sicuro nella lotteria del Colle) ed è arciconvinto che Salvini e Meloni credano all’operazione Silvio for president. Se non altro perché «con me», dice ai suoi, «l’Italia avrebbe il primo presidente della Repubblica non di sinistra» e il centrodestra unito si metterebbe sul petto una medaglia che gli darebbe slancio per vincere le successive elezioni politiche.
Quella quirinalizia, come ha detto ieri, è la partitissima («Non mi tirerò indietro», appunto) che il leader forzista si gioca sopra ogni altra. Ma per condurla bene ha bisogno che non esploda Forza Italia e che lui riesca a tenere insieme non solo l’ala governista e quella filo-salvinista degli azzurri ma in generale la coalizione. Sta facendo ogni sforzo per conciliare gli opposti. E così, rivolto ai centristi di Saint Vincent, osserva che «solo con un centrodestra di cui sia chiara la connotazione cristiana, liberale, garantista, europeista, sarà possibile governare l’Italia a partire dal 2023, con un premier autorevole in grado di continuare l’ottimo lavoro del governo che stiamo sostenendo».
EQUILIBRI
Berlusconi fa molto il sostenitore di Draghi come premier e non dà troppe chance di governo a Salvini e a Meloni e in questo proprio ieri ha trovato una sponda importante in Giorgetti. Il quale in tivvù spiega che per la Lega «il governo Draghi è un investimento sicuro e a lungo termine». Ma allo stesso tempo il Cavaliere salvineggia e meloneggia dicendo ai due alleati «garantisco io per voi in Europa». Però anche democristianeggia (i 149 centristi dei vari partiti in Parlamento sono un tesoretto per l’elezione sul Colle e Rotondi assicura citando Aldo Moro: «Al Colle non ci si candida, si viene candidati e il nostro candidato è Berlusconi») e lo fa così: «La tradizione cattolico-liberale, che fu espressa dalla Dc, è parte fondamentale dell’identità di FI. Questo ci colloca al centro dello scenario politico, un centro che non è equidistanza e che è alternativo alla sinistra e che è anche distinto dalla destra». Un centro che deve essere l’elemento trainante di un centro-destra di governo». Sono parole che devono valere come carezza ai ministri azzurri anti-salvinisti, di cui Brunetta è avanguardia, verso la battaglia dei quali Berlusconi usa la minimizzazione: «Vedo solo incomprensioni personali tra alcuni di noi». Una formula che i centristi azzurri anti-Lega e FdI commentano così: «Se di questioni personali si deve parlare, allora la questione è questa: al governo invece di Brunetta, Carfagna, Gelmini dovevano andare Tajani, Bernini e Ronzulli. Non è andata così e quella scelta voluta da Draghi ancora non viene digerita». Quanto al primo degli incontri settimanali dei ministri azzurri con Salvini e con Berlusconi, la loro linea in vista dell’appuntamento è questa: non mirano a una maggioranza Ursula senza la Lega, ma continueranno a battersi per una guida moderata del centrodestra e non sovranista e per far cambiare rotta a Forza Italia, fuori da ogni sudditanza verso Salvini.
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Il Gazzettino