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Non più una «bozza» di legge, più semplicemente un «appunto» di lavoro. Roberto Calderoli, il ministro per gli Affari Regionali, prova ad evitare che l'autonomia differenziata sbandi alla prima curva. E per farlo deve tirare il freno su due passaggi considerati dirimenti non solo dalle regioni del Sud, ma all'interno della stessa maggioranza. Il primo è il ruolo del Parlamento.
Nel cosiddetto «appunto» di Calderoli alla Conferenza delle Regioni, riunita ieri mattina, le Camere sono relegate a un ruolo di semplici spettatori. La scrittura delle pre-intese è totalmente lasciata al governo e alle Regioni autonomiste. Una volta messi nero su bianco gli accordi per trasferire le materie, il Parlamento interverrebbe soltanto con un parere consultivo, al quale il governo potrebbe o meno conformarsi. Poi i testi definitivi delle intese sarebbero inemendabili. Prendere o lasciare, insomma. Veneto e Lombardia hanno sempre spinto per questa procedura, la stessa usata per i trattati internazionali. Trattare con Milano o con Venezia, insomma, dovrebbe essere considerato come trattare con Washington o con la Santa Sede. Questo meccanismo sarà rivisto. Il Parlamento avrà un ruolo più centrale. In che modo?
Una delle ipotesi sul tavolo è che le Camere possano intervenire in maniera più puntuale già sulle pre-intese tra il governo centrale e le Regioni.
Il secondo punto, più delicato, riguarda i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Qui le distanze tra le Regioni settentrionali e quelle del Sud sono ampie. Ieri la Lombardia avrebbe chiesto addirittura di usare come parametro i «costi medi» per stabilire le risorse da trasferire alle Regioni autonomiste insieme alle materie. Un sistema che assegnerebbe al Nord più fondi di quelli che oggi spende lo Stato per garantire quegli stessi servizi. Ma anche sui Lep una soluzione si starebbe affacciando all'orizzonte. Impedire che alcune materie possano essere trasferite dal Centro alla periferia prima che i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale siano definiti. Ma quali sono gli ambiti di competenza che potrebbero non essere trasferiti fino all'arrivo dei Lep? Si tratta dell'istruzione, della tutela dell'ambiente, di quella dei beni culturali, della sicurezza sul lavoro, e della salute.
I NODI
Sulla scuola, in realtà, il governatore dell'Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha suggerito di tenere fuori la materia, almeno per il momento, da quelle da devolvere alle Regioni. Sulla stessa linea il Lazio, rappresentato al tavolo dal vicepresidente Daniele Leodori e dall'assessora Valentina Corrado. Che insieme ad altre regioni del Centro-sud preme affinché anche in tema di sanità le cose restino così come sono. Il motivo? «Se passasse il principio per cui ogni Regione può stabilire in autonomia i compensi dei medici, ad esempio, rischieremmo uno spopolamento dei camici bianchi da Sud verso Nord», è il timore. E se il governatore calabrese Roberto Occhiuto ribadisce che sull'autonomia «non ho pregiudizi» ma sottolinea il «no alle fughe in avanti», il suo omologo abruzzese Marco Marsilio invita il ministro Calderoli a «valorizzare il confronto con le Regioni».
Confronto che oggi (alle 13) proseguirà a Palazzo Chigi, con una riunione tra Giorgia Meloni e i ministri interessati al dossier. La retromarcia rispetto alla proposta iniziale della Lega, in ogni caso, pare già acclarata. «Quel testo era soltanto una bozza», ribadisce in serata Calderoli. E Raffaele Fitto, che alle sue deleghe ha da poco aggiunto quella per il Sud, aggiunge: «Un divario tra Regioni esiste già oggi, la riforma nasce proprio per dare equità. Il Mezzogiorno assicura non sarà lasciato indietro».
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Il Gazzettino