Uccise il padre violento per difendere la madre, chiesti 14 anni. Il pm: «Sono costretto ma non li merita»

Per Alex Pompa chiesta una pena severa, il pm invita i giudici a sollevare il caso di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale

Uccise il padre violento per difendere la madre, chiesti 14 anni. Il pm: «Sono costretto ma non li merita»
Era il 30 aprile 2020 quando Alex Pompa, un ragazzo che oggi ha 20 anni, uccise il padre violento per difendere la madre dall'ennesima aggressione. Oggi il pm Alessandro...

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Era il 30 aprile 2020 quando Alex Pompa, un ragazzo che oggi ha 20 anni, uccise il padre violento per difendere la madre dall'ennesima aggressione. Oggi il pm Alessandro Aghemo ha chiesto per lui 14 anni di carcere, spiegando di essere costretto dalla legge ma invitando i giudici della Corte d'Assise di Torino a sollevare una questione di legittimità costituzionale.

 

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Alex Pompa, di Collegno (Torino), aveva ucciso il padre che da tempo maltrattava la moglie in casa. Il ragazzo aveva spiegato di aver agito per legittima difesa, temendo di essere ucciso insieme alla madre e al fratello. Il pm ha spiegato: «Sono costretto a chiedere una pena così severa, ma non credo che il ragazzo la meriti». Per questo, il magistrato ha invitato i giudici della Corte d'Assise a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti.

 

La vittima, Giuseppe Pompa, 52 anni, è stata descritta come una persona «ossessiva, aggressiva, molesta e problematica». La moglie, Maria Caiola, ha detto in aula che nelle ore precedenti all'omicidio era stata chiamata «101 volte» da lui per questioni di gelosia, aggiungendo che nel corso dei mesi lei e i figli registravano le sue continue sfuriate «perché pensavamo che ci avrebbe ammazzato». Alex, che lo stesso pm ha definito «un bravo ragazzo, serio e studioso», il 30 aprile 2020 intervenne nella lite e vibrò al padre 34 fendenti con 6 coltelli diversi.

 

Una perizia ha definito il giovane sofferente di una sindrome post-traumatica provocata dal comportamento paterno. Secondo il pm le angherie e le vessazioni sono state «enfatizzate» nel corso del processo. «Giuseppe - ha osservato - si comportava in maniera ingiustificabile, ma ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato». Il magistrato ha comunque aggiunto che «era l'artefice delle sofferenze del figlio» e ha chiamato in causa le attenuanti generiche e della provocazione 'per accumulo'. «Ma il codice - ha concluso - mi impedisce di chiedere la prevalenza delle attenuanti sull'aggravante del vincolo di parentela e quindi una pena inferiore. Valutino i giudici se questa norma è ragionevole».

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Il Gazzettino