Sedici anni e quindici giorni di reclusione. É la condanna inflitta, ieri in primo grado, al venetista Luciano Franceschi. L'indipendentista che l'11 febbraio dell'anno scorso...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
IL FATTO - Quel lunedì mattina dell'11 febbraio del 2013 Luciano Franceschi, il commerciante di Borgoricco, è entrato alla Bcc di Campodarsego con una pistola calibro 7.65 carica, ma sotto al giaccone aveva già pronti altri due caricatori. E poi aveva tre taniche di benzina e una valigia piena di vestiti ed effetti personali, ritrovati dai carabinieri all'interno della sua Fiat Panda posteggiata davanti all'istituto di credito. Franceschi, è stato bloccato da quattro dipendenti della filiale dopo avere ferito all'addome con due colpi a bruciapelo il direttore della banca Pierluigi Gambarotto. Quando i carabinieri sono arrivati lo hanno trovato con le braccia immobilizzate ma con la semiautomatica ancora in mano. Il maresciallo della stazione di Campodarsego è riuscito a disarmarlo. Franceschi, una volta condotto nella cella di sicurezza della caserma di Cittadella, ha dichiarato, da presidente del governo della Repubblica Veneta (si era auto proclamato nel lontano settembre del 2000) di non riconoscere la magistratura dello Stato italiano.
IL RETROSCENA - Franceschi si è presentato ieri in aula indossando la divisa da guardia padana. Aveva minacciato di entrare in tribunale in mutande, poi dopo una mirata mediazione del giudice De Nardus è arrivato vestito con un abito azzurro, con una sorta di gradi sulle spalle e delle mostrine al petto. Capello corto e barba lunga ma curata.
LE DICHIARAZIONI SPONTANEE - Appena il suo legale, l'avvocato Carlo Mursia, ha terminato l'arringa difensiva, Franceschi, l'indipendentista, ha voluto rilasciare alla corte alcune dichiarazioni spontanee. «Ricuso il mio avvocato che ringrazio, ma voglio difendermi da solo. Inoltre ricuso il collegio giudicante e invoco la competenza giuridica del Tribunale del popolo veneto». Quindi ha proseguito: «Mi sono presentato in banca come pubblico ufficiale e non volevo fare del male a nessuno. Ero andato per chiedere giustizia per il mio amico imprenditore Giancarlo Perin morto suicida». Poi Franceschi ha mostrato al giudice un giubbetto: «Questo lo indossavo la mattina dell'undici febbraio ed è sporco del mio sangue. Sono stato messo in cella con due africani pazzi, che mi hanno riempito di botte. Avevo un profondo taglio in testa». La sua difesa incentrata sul popolo veneto e sulla sua innocenza, non è stata però ascoltata da nessun venetista. Franceschi è stato abbandonato dai suoi. Nessun indipendentista ha manifestato all'esterno del tribunale in suo favore. E nessuno è entrato in aula. Presente c'era solo il figlio, che durante la sentenza è rimasto seduto per poi accennare un veloce sguardo al padre mentre veniva portato via dagli agenti penitenziari. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino