BELLUNO - La procura di Belluno apre un’inchiesta sul disastro del Vajont. Si tratta di una nuova indagine, dopo quella condotta dal procuratore Mario Fabbri subito dopo la...
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Il procuratore Francesco Saverio Pavone ha ordinato l’acquisizione della lettera nella quale Francesca Chiarelli porta alla luce una sconcertante ipotesi. La donna ha riferito che il padre era stato testimone di un dialogo fra dirigenti della Sade avvenuto nello studio notarile di Longarone nel quale si parlava di pilotare il distacco della frana del monte Toc facendola cadere piano nell’invaso. «Facciamolo il 9 ottobre, verso sera, saranno tutti davanti alla tivù e non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? No, non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto le prove a Nove, le onde saranno alte al massimo 30 metri. E poi, per quei quattro montanari non è il caso di preoccuparsi troppo», avrebbero detto i dirigenti.
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Il notaio, pur vincolato dal segreto professionale, avrebbe cercato di ogni modo di avvisare più gente possibile, affinché si mettesse in salvo. Una condotta che gli costò cara, sia sotto il profilo professionale sia sotto quello sociale. «La Belluno che conta - ha raccontato la figlia Silvia - ci aveva chiuso le porte». Eppure quella sera del disastro, come hanno confermato tutti e quattro i figli del notaio, erano vestiti di tutto punto, pronti per scappare.
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