PIEVE DI CADORE - Quando scendono le tenebre sulle sorti dell'umanità, non

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PIEVE DI CADORE - Quando scendono le tenebre sulle sorti dell'umanità, non sei più un uomo, ma solo numero. Per esempio, dietro la scritta «Prigioniero 01603», nell'Oflag 83...

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PIEVE DI CADORE - Quando scendono le tenebre sulle sorti dell'umanità, non sei più un uomo, ma solo numero. Per esempio, dietro la scritta «Prigioniero 01603», nell'Oflag 83 di Wietzendorf, si celava un caporal maggiore della Grande Guerra combattente nel Battaglione Vicenza del 9° Alpini. Fu richiamato alle armi il 16 dicembre 1942 e poi spedito in Francia con il Battaglione M. Berico, indi passò poi al 167° Reggimento Alpini Costiero e catturato il 9 settembre 1943. Qui finisce la vicenda del soldato italiano matricola 11530 e inizia quella del prigioniero Mario Monico, deportato dalla Wermacht a Leopoli (Ucraina) dove rimase sino al gennaio 1944 nell'Oflag 328 per poi essere trasferito all'Oflag 83 di Wietzendorf nei pressi di Hannover sino al febbraio 1945. Nel frattempo fu adibito al lavoro obbligatorio nell'ospedale di Wintermoor dove le truppe americane lo avrebbero liberato nell'aprile 1945 per poi rispedirlo a Wietzendorf sino alla chiusura del campo in agosto.

Monico, dopo aver raccolto varie testimonianze della dura vita di prigionia, fece ritorno in Italia nel settembre 1945. Passò alcune visite neurologiche e nel giugno 1946 riprese l'attività di dirigente aziendale della ditta Angelo Coletti di Venezia, poi nel 1968 chiuse la sua vita lavorativa nella ditta Federico Morassutti. Nel 1977 fu sepolto tra le montagne dell'amato Cadore nel cimitero di Tai.

Durante la prigionia, spesso rubando carte e foglietti con la paura di essere scoperto, Monico scrisse corpose pagine di diario che poi avrebbe custodito in casa per molti anni prima di consegnarli ai familiari quasi come un testamento spirituale. Oggi il figlio Giovanni ha dato tutto alle stampe in questo «Diario clandestino» pubblicato da Tipi Edizioni di Belluno. Uno dei pregi di questo diario è dato dal fatto che, come accade molto spesso, non fu scritto quale memoria posteriore, ma le sue pagine seguono passo dopo passo la vicenda di internato dell'autore con qualche lacuna dovuta alle riviste del campo o perché qualcosa è andato perduto. Ma l'ossatura è rimasta intatta e oggi, Giorno della Memoria, la sua lettura vale più di tanti discorsi celebrativi e va fatta con lo spirito del «Non dimenticare». Perché chi dimentica si rende complice degli aguzzini dell'umanità.
Dino Bridda
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Il Gazzettino