BELLUNO - «Tuo figlio non può vivere in un paese di kafiri (infedeli). Se vuoi riaverlo vieni in Siria». Con un messaggio arrivato il 21 dicembre scorso sul cellulare della...
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La rivelazione esce a scoppio ritardato, ma con forte impatto su un caso che sembrava dimenticato, da una deposizione che la donna fece davanti al procuratore di Belluno, Francesco Saverio Pavone, a fine dicembre 2014 nell’ambito delle indagini che vedevano Mesinovic indagato per sottrazione di minore. Indagini poi archiviata perché si scoprì che la madre aveva dato il consenso all’espatrio, salvo poi denunciarne la scomparsa quando, passato un po’ di tempo, non lo vide rientrare. Resta da capire se realmente quel messaggio che baratta il figlio con una conversione arrivi da Karamaleski. Chiunque avrebbe potuto avere, o avere ancora, la disponibilità di quell’utenza telefonica realmente intestata a Munifer.
I contatti tra i due avvennero quando la Herrera, a fine novembre, raggiunse la Turchia. Da qui riesce ad intercettare Munifer che però risponde solo agli sms: un primo messaggio la informa che il piccolo sta bene; ne segue un secondo, del 17 dicembre, con il quale l’uomo le dice che se vuole vedere il piccolo non ci sarebbe stato alcun problema, in tre giorni poteva organizzare l’incontro, purché lei fosse ancora in Turchia. Ma la donna, proprio il 17, ritorna in Italia. Il 21 dicembre le arriva l’ultimo messaggio con il quale Munifer le dice che nessuno vuole portarle via il bambino, ma che se lo vuole deve andare in Siria.
Da qui in poi torna a calare il silenzio, rotto ieri dall’ex ministro degli esteri, Franco Frattini, che accusa le autorità italiane di non aver fatto abbastanza per trovare il piccolo. Immediata la replica del procuratore di Belluno: «Abbiamo fatto anche l’impossibile. Vada lui in Siria». I buchi neri, in questa vicenda, sono ancora molti. La madre è riuscita persino a riconoscere come suo figlio un bimbo seduto su una moto assieme ad un altro jihadista, Seid Colic. Peccato che la foto venne scattata in Siria molti mesi prima che il piccolo lasciasse Longarone. La storia dell’innocente Ismail incrocia quella più ampia e inquietante della presenza di cellule terroristiche islamiche nel Bellunese. Sia Karamaleski sia Mesinovic erano ben radicati tra le Dolomiti: il primo residente a Palughetto di Chies d’Alpago, dove ha ancora la famiglia, il secondo a Longarone dove esercitava l’attività di imbianchino. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino