VENEZIA - Una flessione di uno-due punti. Questo, si calcolava fino a ieri, il prezzo che la Lega pagava per la scelta di allearsi con l’odiato Berlusconi. E il sondaggio...
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Pare che la segreteria federale di Milano, dopo aver firmato il contratto con Silvio, abbia commissionato un sondaggio, si dice alla Swg di Trieste anche se, ufficialmente, via Bellerio nega che il sondaggio vi sia. Però le cifre circolano, e preoccupano. Non tanto perché la Lega riscuoterebbe, in Veneto, solo il 14-15% per cento, con un periglioso 4,1% a livello Italia. Non tanto per l’onta del ri-sorpasso del Pdl, che in Veneto conserverebbe tra il 18 e il 19%. Ma soprattutto perché il sondaggio, realizzato pochi giorni fa, avrebbe misurato anche l’effetto-Berlusconi, e cioè quali sarebbero stati invece i consensi per la Lega se il partito avesse, come chiedevano a gran voce i militanti e i dirigenti veneti, scelto di correre da solo.
Ebbene: in questo caso, la Lega in Veneto sarebbe tra il 25 e il 28%, il che varrebbe uno spettacolare 10% a livello Italia. Perciò la decisione di allearsi con Berlusconi costerebbe alla Lega tra i 10 e i 14 punti percentuali in Veneto. Un’enormità, se fosse così. Un prezzo che in Lombardia, almeno, paga il sostegno Pdl alla corsa di Maroni. Ma in Veneto? «A me della Lombardia non mi frega niente», urlava Gentilini. Era il solo a dirlo, non il solo a pensarlo. E molti, in Lega, cominciano a parlare di errori.
Qualcuno si sfoga: «Ci danno al 14% in Veneto? Purtroppo è credibile: il partito è completamente assente dalla campagna elettorale. Silenzio assoluto. Maroni pensa più alla Lombardia che alle politiche». Tanto che per le liste si rimanda fino all’ultimo, con auto-candidati e segreterie provinciali costretti ad un superlavoro burocratico mai visto: han dovuto predisporre tutta la corposa documentazione richiesta dalla legge elettorale, per l’intera rosa dei candidati proposti, e in doppia versione, Camera e Senato, perché di nessuno si sa se e dove sarà candidato.
La roulette dei nomi gira a vuoto da giorni. Rispunta quello del trevigiano Gian Paolo Dozzo, capogruppo uscente a Montecitorio: la Liga non si batte per lui, ma Maroni non fa mistero di vederlo bene al Senato. Certo del posto alla Camera è Marco Marcolin, sindaco di Cornuda, capolista nella circoscrizione Veneto 2. E così i veronesi Matteo Bragantini e Giovanna Negro, tutti vicini a Tosi. Un posto al Senato dovrebbero giocarselo l’assessore regionale Luca Coletto e il consigliere Paolo Tosato, tosiani pure loro, con maggiori probabilità per Coletto. E sicuro al Senato pare anche Massimo Bitonci, che tosiano non è, ma è apprezzato da Maroni: e poi, insomma, un non tosiano di prestigio bisognerà pur metterlo in lista, per buona educazione.
«Un culo, una sedia». L’espressione, non elegantissima, è sulla bocca di molti dirigenti leghisti. È l’ultimo verbo di Maroni: se sarà eletto governatore di Lombardia, si dimetterà da segretario federale. E naturalmente, come per la candidatura a premier, il nome che viene considerato papabile per la successione a Maroni è proprio quello del popolare sindaco di Verona. Con amici e collaboratori, Tosi si schermisce: «Ma va là, quello è un posto per un lombardo». Ma non è detto: le ultime esternazioni di Maroni disegnano una "macro-regione" del Nord presieduta dal governatore di Lombardia. E se un lombardo fa il super-presidente del Nord, volete che tocchi alla Lombardia anche il segretario della Lega? In base a questo ragionamento, in caso di vittoria di Maroni in Lombardia, molti accreditano alla successione più il veneto Tosi che Salvini, segretario della Lombarda. Dopotutto, la Liga Veneta sarebbe in credito con Maroni di quei 10 punticini perduti per lui... Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino