La cultura veneta produce ricchezza ma Venezia è fuori classifica

Palazzo Ducale
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VENEZIA - Chi dice che senza cultura non si mangia non ha idea di quanto la cultura conti nella nostra economia e nella società italiana. I dati del Rapporto cultura Symbola e Unioncamere diffusi oggi sono molto chiari. La cultura muove 214 miliardi di euro, il 15,4% della ricchezza prodotta in Italia. L’export culturale durante la crisi è cresciuto del 35% e il settore ha raggiunto un surplus commerciale con l’estero di 25,7 miliardi di euro.


Il Veneto è (dopo Lazio e Marche e prima della Lombardia) la terza regione in Italia per valore aggiunto prodotto dalla cultura e a Nordest sono numerose le province in cui il sistema culturale produce più ricchezza, come Pordenone (seconda dietro Arezzo), Vicenza (quarta), Treviso (quinta), Verona (undicesima). Molto alti anche i valori percentuali riguardanti l’occupazione con Treviso, Vicenza e Pordenone che sfiorano il 9%, dietro solo ad Arezzo e Pesaro Urbino. Guardando alle regioni, il Veneto è al secondo posto (7%) e il Friuli al quinto (6,5%) su una media italiana del 5,7.

Ma cosa intendiamo esattamente per produzione culturale e come mai Venezia risulta in classifica a livelli di Vibo Valentia, oltre la cinquantesima posizione?

Lo spiega Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola che ha realizzato il rapporto: «Venezia manca perchè ha meno manifattura. Il calcolo riguarda la produzione, non il turismo culturale che ovviamente la vedrebbe molto più in alto. Il cuore dell’indagine è il legame fra cultura e produzione di ricchezza. Arezzo, Pordenone, Pesaro, sono luoghi in cui per il fattore competitivo la cultura diventa elemento determinante per gli orafi di Arezzo, i mobilieri di Pordenone o gli scarpari di Pesaro. Il valore aggiunto che fa dell’Italia uno dei cinque paesi con il maggio export è la cultura, la bellezza, e l’humus che li produce e che fa sì, per esempio, che la produzione di montature per occhiali di qualità sia tornata in Italia. Galbraith che l’Italia nel dopo guerra aveva saputo risollevarsi pur disponendo di scarsa tecnica, politica incapace e poca collaborazione perchè averva nelle sue città una quantità di bellezza maggiore, che si traduceva in prodotti migliori. La classifica del valore aggiunto dice che le province più attive, dopo il Lazio che ha forti componenti nell’intrattenimento) sono le Marche e il Veneto, due sistemi manifatturieri che senza il loro retroterra di bellezza non potrebbero competere».

Ma se la cultura è uno dei motori della nostra economia, perchè è la prima a soccombere in tempo di crisi?


«Durante la guerra dissero a Churchill che per sostenere le spese belliche si doveva tagliare la cultura. Lui rispose: "E allora perché combattiamo?". Qui si sottovaluta il fatto che l’Italia per superare la crisi deve fare l’Italia. Non possiamo competere sul taglio ai diritti, ai salari, sul dumping inseguendo Guandong o il Vietnam. Perderemmo. Possiamo competere sulla qualità, non sulla quantità o il prezzo basso. Possiamo portare nei prodotti la componente di cultura e bellezza italiana. Pensiamo al vino. Ha avuto una crisi drammatica ai tempi del metanolo quando si inseguiva la quantità e il basso prezzo. Poi ci fu un drastico cambio di rotta. Oggi se ne produce la metà ma il valore dell’export è cresciuto del 700%. È per questo che Google viene a fare i suoi nuovi occhiali elettronici in Veneto. Politica ed economia non hanno ancora colto il rapporto fra consumi e bellezza. Qualcuno sì. Quando industriali si mettono a restaurare palazzi e monumenti è perchè sanno che legare bellezza e patrimonio ai loro prodotti alla fine è un rigore a porta vuota». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino