Alla scoperta di Bach tra bombe e pallottole

Alla scoperta di Bach tra bombe e pallottole
Hanno la kefiah ma studiano la musica degli "infedeli". Sono bambini, aolescenti, palestinesi ed ebrei, che reagiscono al clima di allerta ordinario suonando Bach, Beethoven,...

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Hanno la kefiah ma studiano la musica degli "infedeli". Sono bambini, aolescenti, palestinesi ed ebrei, che reagiscono al clima di allerta ordinario suonando Bach, Beethoven, Mozart. Questo strano miscuglio di pallottole e misticismo è la Palestina 2.0, nuovo approdo di giovani musicisti occidentali che scelgono questa terra per costruire un futuro professionale. Tra loro c'è la ventisettenne Giulia Vazzoler, pianista trevigiana che dopo aver girato il mondo (soprattutto la parte povera del pianeta) ha trovato dignità professionale a Gerusalemme est, come insegnante del Conservatorio Edward Said. Giulia vive nei Territori occupati, nove km che ogni mattina si trasformano in un calvario di perquisizioni ai posti di blocco. Insegna a studenti israeliani e palestinesi, ma per ora non tornerebbe in Italia. Perché per lei il Medioriente «è il futuro della musica occidentale».

Come è la vita quotidiana a Gerusalemme vista con gli occhi dei Palestinesi?
«Io vivo a Betlemme, ma lavoro metà settimana nella sede di Betlemme e metà in quella di Gerusalemme Est, la parte araba della città. La vita quotidiana, per certe cose, non è una cosa che puoi affrontare se non sei temprato, fisicamente e mentalmente».
Ossia?
«La Palestina si trova sotto occupazione militare israeliana ed è recintata da un muro, la Barriera di Separazione. Betlemme si trova in territorio palestinese, Gerusalemme in territorio israeliano. Per passare da una parte all'altra devi attraversare i posti di blocco. I coloni israeliani entrano anche in territorio palestinese e ci sono spesso sparatorie. Ma ormai conviviamo senza problemi con gas lacrimogeni, "sound bomb" e proiettili di gomma. Nessuno però considera la vita pericolosa, a patto di non finire in mezzo ad uno scontro armato».
Forte lo shock culturale?
«La Palestina è un paese arabo, povero e occupato militarmente. Non c'è uno Stato dietro che ti può tutelare. Devi sopravvivere da solo. All'inizio, fino a che non impari come cavartela, ti senti perso. Ti trovi al freddo (in Palestina non ci sono i riscaldamenti, e l'inverno è molto rigido), non sai cosa mangiare, non sai come muoverti perché non ci sono servizi pubblici, hai paura dei soldati perché non sei abituato a vedere mitra puntati addosso a te e hai la testa piena di luoghi comuni sugli arabi e sul fatto che "lì è pericoloso". Poi, non appena ti abitui ai meccanismi, ti senti immediatamente a casa».
Quale è il livello musicale in Palestina?
«L'interesse per la musica classica occidentale è nato in Palestina da poco tempo. La loro tradizione culturale è quella della musica araba e da questo punto di vista il livello è eccellente. Per quanto riguarda la musica occidentale, stiamo piano piano costruendo una realtà che, sono certa, tra qualche anno potrà competere con le maggiori istituzioni europee. La vita musicale in Palestina è ricchissima: i concerti sono molti e vengono seguiti con entusiasmo. Il Conservatorio "Edward Said" è considerato la terza istituzione del Paese».
Perchè ha scelto di vivere all'estero?

«Dopo il diploma ho iniziato a fare esperienze forti lavorando con l'Unione Europea nell'ambito di progetti culturali di mobilità giovanile. Sono stata in Armenia, in Moldavia, nel Kurdistan turco e ho preso confidenza con realtà difficili da affrontare ma incredibilmente più arricchenti dal punto di vista umano e culturale. Poi, in Palestina ho trovato un lavoro e una dignità come musicista, cosa che in Italia sembra non essere più possibile. I paesi più poveri sono paradossalmente molto più affamati di cultura. Lo dico con profonda tristezza, ma la realtà è questa: il mio Paese ha molto poco da offrirmi».(((filinie))) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino