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Se Vladimir Putin soffra davvero di un tumore alla tiroide, come ipotizza il giornale russo indipendente Proekt, non è ancora un dato assodato. Per ora si sa soltanto che l'endocrinologo Evgeny Selivanov, del Central Clinical Hospital di Mosca, avrebbe accompagnato il presidente russo nei suoi viaggi almeno 35 volte negli ultimi quattro anni. Il Cremlino, intanto, si affretta a smentire. In realtà, se la notizia fosse confermata, significherebbe che il presidente Putin si è già sottoposto ad un intervento chirurgico e quindi sta assumendo una terapia sostitutiva con ormoni tiroidei.
L’unica cura per i tumori alla tiroide, infatti, è solo chirurgica, come spiega Rocco Bellantone, direttore del Centro di chirurgia endocrina e metabolica del policlinico Gemelli di Roma, il centro italiano con il maggior numero di trattamenti di carcinoma della tiroide: qui si operano oltre duemila tiroidi l’anno, e di queste oltre 500 maligne. «Ci sono vari tipi di carcinoma alla tiroide - premette Bellantone - Per fortuna, nella maggioranza dei casi il tumore, anche se maligno, ha un’ottima prognosi, cioè si guarisce in una percentuale superiore al 90 per cento dei casi. Ci sono però alcuni tipi di tumori che, più rari, sono invece drammaticamente e prognosticamente sfavorevoli».
Secondo l’Aiom (l’Associazione italiana di oncologia medica) il tumore alla tiroide è la più frequente neoplasia del sistema endocrino (90%) e rappresenta il 3.8% di tutte le neoplasie. Nel 2016 in Italia sono stati diagnostica circa 15.300 nuovi casi, il 4 per cento di tutti i casi di neoplasie maligne, 3 quarti nel sesso femminile. «In genere - spiega Bellantone - si manifesta come un rigonfiamento al collo oppure, in uno stadio più avanzato, con una difficoltà a parlare, a respirare, a ingoiare”. Solitamente, però, è asintomatico, e quindi si ricorre al medico quando il tumore è in fase avanzata. “In realtà, gli esami per diagnosticarlo sono abbastanza banali - spiega l’esperto del Gemelli - Trattandosi di un organo molto superficiale, che si trova alla base del collo, basta una visita e poi soprattutto una ecografia per permetterci di diagnosticare anche tumori di pochi millimetri».
Una volta individuato, non c’è altra strada se non quella chirurgica.
«Questo non è un tumore che prevede una chemioterapia. Si effettua una terapia che si chiama radiometabolica, cioè si assume iodio radioattivo per distruggere eventuali cellule rimaste anche dopo l’intervento chirurgico. Ribadiamo che si può guarire in oltre il 90 per cento dei casi. Dopo l’intervento, bisogna prendere una pasticca, ma bisogna trovare il dosaggio giusto, perché altrimenti il paziente corre il rischio di gonfiarsi e di ingrassare». Esistono, però, tumori della tiroide che non danno scampo. «Finora - precisa Bellantone - ci siamo riferiti alla forma più frequente di tumore alla tiroide. Ma c’è poi una forma drammaticamente cattiva, che comporta rapidamente un ingrossamento del collo, disturbi della voce e del respiro. È una forma più rara, interessa non più del 2 per cento dei casi. È un tipo di tumore che richiede chemioterapia, radioterapia, ma ha una prognosi del tutto infausta».
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Il Gazzettino