In tanti intorno a lei cercavano di convincerla a non esporsi, a non sporgere denuncia, a "evitare la vergogna". Ma non ci sono riusciti: lei si è dimostrata...
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Erika, che ha pubblicamente rinunciato al suo diritto all'anonimato, si è volontariamente esposta per incoraggiare tutte le donne che subiscono violenze sessuali a non vergognarsi e a non provare inconsci sensi di colpa, ma a denunciare i loro aggressori. «Le donne vittime di stupro in Russia devono smetterla di tacere e devono chiedere leggi più severe per i colpevoli - ha scritto sui social - Molti attacchi sessuali restano impuniti: se io non avessi denunciato la mia vicenda quel medico sarebbe a piede libero. Smettere di tacere è fondamentale: spesso le donne non sono consapevoli di essere protette dalla legge, e anche quando lo sono si trovano di fronte a costumi della nostra società che impediscono loro di far valere i loro diritti. Quando le donne tacciono è come se difendessero i loro stupratori, e il loro silenzio moltiplica il rischio di nuovi stupri. Certamente l'anestesista che mi ha violentato è una persona malata, ma coloro che lo coprono sono i peggiori criminali. Chernikov in questo periodo mi ha messo sotto pressione, e persino i miei stessi avvocati si sono mostrati riluttanti a sostenere il mio caso, temendo la disapprovazione delle autorità. In questa vicenda ho imparato molto sulle persone intorno a me, sui miei amici, sui miei nemici, ma soprattutto sul mio carattere: ho scoperto in me una guerriera che cercava giustizia per la propria anima».
Erika, sposata e madre di un bimbo, si era sottoposta all'intervento per migliorare l'aspetto del suo seno, anche se il marito era contrario e le diceva che era già bellissima così. Alla fine dell'operazione, risvegliatasi intorpidita, si lamentava per alcuni dolori, poi, ripresa gradualmente conoscenza, ha realizzato che l'anestesista stava abusando di lei. «Ragazza, andrà tutto bene: ti faccio male?» le disse Chernikov quando capì che la paziente si stava svegliando. Lei, ancora in uno stato di impotenza e senza la capacità di reagire, tentò di spingerlo via con le gambe, ma non ne aveva neanche la forza. Il peggior incubo di una donna: capiva tutto, ma non riusciva a difendersi, costretta ad assistere senza difesa al proprio stupro. Il giorno dopo il dottore, sconvolto, si presentò da lei con una tavoletta di cioccolato e una "pillola del giorno dopo", invitandola a soprassedere e a non denunciarlo: in quelle 24 ore si era reso conto di quale orribile colpa si fosse macchiato ed era disperatamente intenzionato a chiudere la faccenda, disposto a offrirle denaro e le cure del miglior ginecologo che conosceva. In seguito si è difeso sostenendo che il rapporto era stato consensuale, ma i suoi racconti non hanno convinto nessuno. E alla fine ha ammesso: «Ovviamente, mi sono bastati cinque minuti per capire quello che avevo appena fatto, ed ero terrorizzato. Ho realizzato che i miei figli, i miei nipoti, mia moglie non mi avrebbero mai perdonato. In quel momento non avevo pensato a nulla».
Ora è arrivato per lui il momento di pagare il conto con la giustizia: un conto che, senza il coraggio e la denuncia di Erika, non gli sarebbe mai stato presentato. Così come non sarebbe mai arrivata la condanna implacabile da parte di sua moglie Tatiana: «Non credo che mio marito abbia l'animo dello stupratore. Ma certamente ha mostrato debolezza. E ha fallito completamente come uomo». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino