Nord Stream, antenna o boa? Le teorie sull'oggetto misterioso fotografato vicino al gasdotto

Le autorità danesi chiedono la cooperazione di Gazprom per portare alla luce il "corpo" misterioso rintracciato nei fondali

Un oggetto ancora non identificato con un diametro di dieci centimetri che sporge dai fondali di quasi mezzo metro. E' il catalizzatore delle nuove teorie sul sabotaggio del...

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Un oggetto ancora non identificato con un diametro di dieci centimetri che sporge dai fondali di quasi mezzo metro. E' il catalizzatore delle nuove teorie sul sabotaggio del gasdotto Nord Stream su cui si sta giocando l'ennesima battaglia, questa volta di comunicazione, tra Occidente e Russia. Partiamo dalla cronaca: una settimana fa, durante un'ispezione, le autorità danesi rintracciano vicino al Nord Stream 2 un oggetto non identificato. Le foto vengono immediatamente trasmesse alla Difesa di Copenaghen che invia una richiesta al colosso russo Gazprom, operatore del gasdotto, per una collaborazione attiva mirata a recuperare l'oggetto che, si ritiene, possa dire qualcosa in più sui sabotaggi che nello scorso settembre hanno creato danni a diversi tratti del gasdotto stesso.

Russia che, fatalmente, già all'inizio di marzo per bocca del presidente Vladimir Putin aveva parlato della scoperta di un oggetto in quell'area che, secondo gli esperti, avrebbe potuto essere un'antenna dedicata alla ricezione del segnale che ha innescato l'esplosione. Non è chiaro però se Putin si riferisse proprio all'oggetto fotografato settimane dopo e che, secondo l'agenzia danese per l'energia, altro non sarebbe che una boa fumogena marittima. Escludendo quindi che l'oggetto possa essere in qualche modo pericoloso o possa esserlo stato in passato. L'allerta comunque resta alta al punto che le autorità tedesche, danesi e svedesi hanno avviato delle indagini per saperni di più. E lo stesso Cremlino, attraverso il portavoce Dmitry Peskov, ha sottolineato come sia di «fondamentale importanza determinare che tipo di oggetto sia, se sia collegato a questo atto terroristico – a quanto pare lo è – e continuare questa indagine. E questa indagine deve essere trasparente».

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Le teorie sul sabotaggio

D'altra parte sugli attentati di settembre si era giocata una buona fetta della propoganda bellica di quelle settimane. La prima pista aveva portato al sabotaggio russo, per mettere in ginocchio l'Europa sulla fornitura di gas. Poi era spuntata la pista, sostenuta dagli Stati Uniti, che l'attacco fosse un sabotaggio di un gruppo di resistenza filo-ucraino indipendente e non legato in alcun modo a Zelensky e al governo di Kiev. Infine era piombata l'accusa, pesante come un macigno, del premio Pulitzer Seymour Hersh. Il giornalista d'inchiesta americano sosteneva in sostanza che il sabotaggio fosse opera del governo di Washington: una mossa che aveva l'obiettivo di mettere in difficoltà le potenze europee, Germania in primis, con l'obiettivo di sollecitarne l'intervento, in particolare con l'invio di armi all'Ucraina che, in condizioni di “agio” normale, non sarebbe probabilmente avvenuto. Una tesi che provocò la dura smentita della Casa Bianca, da una parte, e l'affondo di Mosca che chiese a gran voce a Germania, Svezia e Danimarca di aprire un'indagine sulle presunte responsabilità Usa. Un'indagine, sottolineano da Mosca, «mai aperta nonostante i Paesi in questione abbiano subito danni enormi» da quelle esplosioni. Ora quei tre Paesi si sono messi in moto per “studiare” l'oggetto misterioso e chissà che – questa volta - qualche verità su quegli attentati di settembre non venga a galla.

 

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Il Gazzettino