Nepal, confinata in un capanno perché ha le mestruazioni: muore soffocata dal fumo

Nepal, confinata in un capanno perché ha le mestruazioni: muore soffocata dal fumo
Non è bastata una legge per fermare il chhaupadi, la tradizionale pratica nepalese secondo la quale le neomamme e le donne durante il periodo mestruale vengano confinate in...

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Non è bastata una legge per fermare il chhaupadi, la tradizionale pratica nepalese secondo la quale le neomamme e le donne durante il periodo mestruale vengano confinate in sporche baracche ai margini del villaggio dopo essere tacciate come “esseri impuri”: una ragazza di 21 anni è stata ritrovata morta lunedì dopo aver inalato il fumo di un focolare accesso per scaldarsi in una fredda notte. A confermarlo sono le autorità del Tul Bahadur Kawcha. Non è il primo caso di questo tipo durante il chhaupadi: a dicembre 2016 una ragazza era morta nel distretto di Achham, anche lei a causa delle esalazioni di fumo scaturite dal fuoco che aveva acceso in una capanna fredda. Nel luglio scorso, una 19enne venne morsa a morte da un serpente velenoso nel distretto di Dailekh.


La superstizione. Il decesso è avvenuto durante il rito inumano che nel Paese affonda le sue radici nei millenni ed è difficile da estirpare. Le donne nel periodo mestruale e le neomamme vengono messe alla porta e additate come portatrici di sventura: accusate di contaminare ogni cosa o persona con cui entrino in contatto, vengono sbattute fuori casa e costrette a dormire in capanne di bambù costruite ad hoc. Non è concesso loro di toccare uomini e bestiame, né di cibarsi o bere dalla stessa fonte dei familiari. Inoltre, durante “l'esilio” al quale sono condannate nelle aree rurali il 19% delle donne tra i 15 e i 49 anni, non possono lavarsi in casa, bere latte e le più piccole non possono nemmeno andare a scuola.

La legge. Già nel 2005 la pratica era stata dichiarata illegale, ma il chhaupadi ha continuato a resistere nell'ovest del Paese. Ad agosto il governo nepalese era intervenuto approvando una norma che, oltre a ribadirne il divieto, prevedeva tre mesi di carcere e il pagamento di una multa per chiunque costringesse una donna all'isolamento. Neanche questo, però, è bastato per fermare una pratica che continua a perpetrarsi in un contesto sociale di arretratezza. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino