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Sulla grande mappa digitale, uno schermo da almeno sessanta pollici che illumina la plancia di comando abitualmente semibuia, la rotta è impostata. Partenza da Civitavecchia, prima tappa a Cipro e arrivo di fronte alla Striscia Gaza. Quanto vicino alla costa è ancora tutto da definire: «Il punto esatto di ormeggio e di operazioni lo capiremo una volta giunti in zona», racconta il comandante, quando per la nave è giunta l’ora di mollare gli ormeggi. «Tutto dipende dall’evoluzione della situazione sul campo e dalle trattative diplomatiche. Quando arriveranno gli ordini - aggiunge il capitano di vascello, Lorenzo Bonicelli Della Vite - noi saremo prontissimi». Di chiaro, fin da ora, c’è che l’Italia fa sventolare per prima la sua bandiera nel cuore della crisi, in quella zona del mondo in cui da oltre 30 giorni si consuma una gigantesca catastrofe umanitaria. Nave Vulcano accende i motori poco dopo il tramonto, a bordo c’è già tutto: rifornimenti completati in meno di 24 ore, da quando il Ministero della Difesa ha deciso di dare il via alla prima operazione militare e umanitaria.
La strategia
La missione è complessa, rischiosa ma importantissima. Gli obiettivi sono due: ormeggiare questo enorme ospedale galleggiante a poche miglia dalla Striscia quasi cancellata dalle bombe e allestire un ospedale da campo direttamente all’interno del territorio di Gaza. E questo per i militari italiani è di certo l’ordine più complesso da eseguire. Ma per il ministro della Difesa Guido Crosetto è un obiettivo irrinunciabile: «Questo ospedale lo faremo arrivare in qualunque modo - dice - Attraverso il varco di Rafah, oppure con gli elicotteri o gli aerei. Ovviamente in accordo con le autorità locali, con le parti coinvolte in questa crisi e con gli operatori umanitari che si trovano nella zona. Ora mi aspetto un impegno analogo da altre nazioni e sono certo che altri si accoderanno». Il ruolo dell’Italia, in un quadro di crisi complicatissima, è segnato ed è quello della mediazione. E non è un caso che proprio ieri gli Stati Uniti abbiano chiesto di far tornare a Gerico due dei carabinieri che già operavano da quelle parti fino alle scorse settimane. Di loro, che hanno addestrato agenti e mediato nelle situazioni di crisi, si fidano i palestinesi e gli israeliani e la loro esperienza sarà utile anche per la durissima trattativa sulla liberazione degli ostaggi.
La partenza
L’iniziativa italiana, annunciata poco dopo la decisione del governo, è una notizia che fa subito il giro del mondo, rilanciata in pochi minuti dai media arabi, israeliani e americani.
A bordo
Tra i ponti si alternano sale operatorie e aree sterili con attrezzatura sofisticatissima. I posti letto disponibili sono 18, ma le stanze possono essere rimodulate a seconda delle esigenze. C’è una sala rianimazione, un reparto infettivi, un pronto soccorso e diverse sale operatorie. A bordo operano in 170 e una parte dell’equipaggio si occupa solo dell’area sanitaria: medici, infermieri e anche alcune volontarie della Croce rossa. Sul ponte atterrano e decollano due elicotteri e sarà affidato proprio a loro il compito di andare a recuperare i feriti da salvare. «Ma useremo anche battelli, gommoni e altre piccole unità navali - sottolinea il comandante - Siamo i primi, siamo orgogliosi di esserlo. Cercheremo di dare il meglio: per aiutare il più possibile la popolazione civile e per mettere a frutto le tante potenzialità della nostra nave». All’alba l’Italia è già lontana, all’orizzonte ci sono i bagliori delle esplosioni.
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