Khalifa Haftar è tornato a Bengasi e ha preso tempo: un paio di giorni per decidere, anche se non ha fissato una vera scadenza. L'accordo proposto da Vladimir Putin,...
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Tregua in Libia, Haftar chiede due giorni di tempo. Vertice a Berlino il 19 gennaio
SMACCO DIPLOMATICO
A Mosca, intanto, continuano a credere alla possibilità che il generale firmi l'accordo, nonostante sia andato via rifiutando le condizioni per l'intesa. Il presidente russo Putin ha esercito una forte pressione, in considerazione del fatto che è uno dei suoi principali sostenitori militari, politici e finanziari. Una situazione apparsa come uno smacco diplomatico per la Russia. Visto anche che il feldmaresciallo ha fatto sapere che «non accetterà mai una tregua mediata dalla Turchia». Turchia che, oltre a essere lo sponsor del cessate il fuoco, è anche lo Stato che appoggia maggiormente Serraj. La tregua «è in gran parte applicata sul terreno», assicurano da Ankara, dove però il presidente Recep Tayyip Erdogan ammonisce la fazione rivale a quella del suo protetto: se il generale Haftar dovesse riprendere i suoi attacchi, minaccia, gli «infliggeremo una lezione».
Sbaglia, comunque, chi pensa che il leader della Cirenaica sia una variabile impazzita del puzzle libico. Haftar sta giocando la sua partita personale ma anche quella per procura, nella quale la Libia è una delle chiavi di un equilibrio di area ancora tutto da disegnare. Sembra ormai evidente che è il generale e chi lo sostiene a dettare il passo della trattativa tra veti incrociati e corsa all'egemonia. La prima linea vede schierati Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Paesi sunniti che da anni lo sostengono con uomini, armi e un fiume di soldi. Anche ieri fonti militari legate al governo di Serraj hanno riferito che cannoni degli Emirati sono giunti nel quartier generale di Haftar per un possibile nuovo attacco a Tripoli. Un fronte che usa il generale e la sua più volte proclamata campagna di contenimento del terrorismo contro il rischio contagio dei Fratelli Musulmani (che sono nell'orbita di Serraj), fuorilegge in tutti e tre i Paesi e che, in Egitto, costituiscono la principale opposizione (clandestina) al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi.
Il Cairo, da parte sua, avrebbe reclutato insieme con gli Emirati, miliziani in Sud Sudan e in altri Paesi dell'Africa subsahariana per sostenere Haftar. Tra i rischi che Riad e Abu Dhabi vogliono scongiurare, la creazione di un nucleo forte attorno a Tripoli supportato anche dal Qatar, il grande nemico che intrattiene relazioni pericolose con l'Iran. In seconda linea dietro Haftar, la Francia di Emmanuel Macron. Come membro del Consiglio di Sicurezza Onu e dell'Ue, che riconoscono il governo di Tripoli, Parigi dovrebbe essere allineata a fianco di Serraj. In realtà sostiene Haftar, che domina nell'area di Sirte dove Ras Lanuf e la mezzaluna petrolifera sono un richiamo irresistibile.
L'AUDIZIONE
Intanto suul dossier libico e sulla mediazione italiana, ieri, è stato sentito dal Copasir il direttore dell'Aise Luciano Carta, e la sua audizione è stata la prima proprio per l'importanza del ruolo che ha svolto in questa difficile trattativa. Mentre sembra perdere posizione l'ipotesi di un inviato speciale europeo per la Libia. Lo ha confermato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che ha escluso anche la possibilità di un candidato italiano per quel ruolo. «Secondo me non serve un inviato speciale europeo - ha dichiarato - La candidatura di Minniti? Ci sono già i ministri degli esteri. Servirà un inviato speciale dell'Italia, ma dopo le conclusioni della conferenza di Berlino».
Il Gazzettino