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«Noi non ci arrendiamo, si vergogni chi ha disertato». Il video è stato caricato su YouTube mercoledì. I due protagonisti - Denis Prokopenko, colonnello del reggimento Azov, e il maggiore Serhiy Volyna, comandante della 36esima brigata dei Marines ucraini - spiegano di essere riusciti a unire le forze il giorno precedente, dunque martedì. Sono gli ultimi uomini che stanno resistendo a Mariupol, in gran parte ormai finita sotto il controllo dell'esercito russo a costo di almeno 20mila morti. Gli ucraini sono assediati nell'acciaieria, prima gli Azov (formazione di estrema destra inglobata nell'esercito) e i Marines erano separati, ma poi Volyna e una parte dei suoi sono riusciti a raggiungere il gruppo di Prokopenko. Altri invece hanno deciso di arrendersi: secondo i russi almeno un migliaio di Marines (questo è l'annuncio che hanno fatto ieri), mentre anche un militare inglese, Aiden Aslin, molto popolare nel Regno Unito, che era andato a combattere con gli ucraini, l'altro giorno ha annunciato che non aveva altra scelta se non consegnarsi al nemico, perché stavano finendo cibo e munizioni. Prokopenko (discusso ex leader della curva della Dinamo Kiev) e Volyna, nel loro messaggio, invece, spiegano: noi non ci arrendiamo, continuiamo a combattere.
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Le parole
Più nel dettaglio, Prokopenko inizia il suo discorso con il classico «Gloria all'Ucraina!», poi aggiunge: «Ieri ci siamo riuniti con i valorosi combattenti del battaglione dei Marines, veri soldati, fedeli al giuramento e al popolo dell'Ucraina. Questi uomini difendono e difenderanno la città di Mariupol insieme a noi.
Mariupol è la città martire di questa guerra, in cui, secondo le autorità locali, il 90 per cento degli edifici è ormai distrutto. Si trova a Sud-Est del Paese, non lontano dal confine con la Russia, e per l'esercito di Putin ha un valore strategico (ma anche simbolico) enorme, visto che controllarla serve a unire l'area che si affaccia sul Mar d'Azov con tutto il Donbass. Per questo ieri la tv russa ha rilanciato con molta enfasi i video dei 1.026 soldati con la mani alzate. Secondo il ministero della Difesa sono uomini della 36esima brigata dei Marines, tra di loro ci sono anche 162 ufficiali e 47 donne. Un altro gruppo, però, almeno questo emerge dal video caricato su Youtube, ha seguito il maggiore Volyna e si è unito alla Azov per quella che ormai ha tutte le caratteristiche di una missione suicida. Resistere a Mariupol, è la tesi degli ucraini, obbliga i russi a mantenere ancora un alto numero di uomini in città, rallentando così l'espansione verso Ovest.
Il sindaco
«Mariupol era, è e continuerà a essere una città ucraina» ha ripetuto ieri il sindaco, Vadym Boichenko, che però non si trova più a Mariupol. Ha definito una fake news le notizie russa secondo cui il porto della città è stato preso dopo la resa dei militari ucraini. La sofferenza della popolazione non si ferma. Spiega il presidente della Croce rossa, Francesco Rocca: «Siamo pronti a portare aiuti, ma non ci fanno entrare». Secondo alcuni rifugiati che sono riusciti a raggiungere Dnipro «a Mariupol i corridoi umanitari sono quasi inesistenti, perché i militari russi non informano le persone chiuse nei rifugi. L'unico modo per uscire è andare in Crimea o Russia, dove alla frontiere alcuni ci dicono di essere stati umiliati e costretti a stare nudi di fronte ai soldati. Nella città manca cibo e continuano il saccheggio dei negozi, mentre molti sono stati costretti a bere acqua di neve. I primi a morire sono i bimbi più piccoli, per la fame». Il consigliere del sindaco di Mariupol, Petro Andryushchenko, racconta su Telegram: «I russi dicono alla popolazione di indossare il nastro bianco, simbolo dell'invasione. Questi segni distintivi speciali ricordano la segregazione e la trasformazione di Mariupol in un vero ghetto».
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