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Merefa è una cittadina di venticinquemila abitanti situata a circa trenta chilometri a sud ovest di Kharkiv. Nella notte, alle tre e mezza, un missile da crociera a lungo raggio russo ha colpito un edificio, una scuola media, distruggendolo. Un missile Kalibr, probabilmente. I pompieri hanno impiegato ore per spegnere il furioso incendio divampato dopo l’esplosione. Paradosso della storia, la scuola era già stata distrutta una volta durante la Seconda guerra mondiale.
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I REGISTRI
Alle undici del mattino, mentre i vigili del fuoco continuano a gettare acqua sulla massa di cemento sgretolato, frammenti di vetro e legno bruciato, un gruppo di insegnanti attende oltre un cancello di poter prendere i registri scampati alla distruzione. Contengono tutto il loro lavoro e quando vengono portati fuori l’applauso dei professori è liberatorio. Nel piazzale antistante i detriti sono sparsi per decine di metri, alcuni uomini accatastano le parti del missile ritrovate. È la quotidianità di un conflitto che non risparmia cose e persone. A Kharkiv e in tutta la regione i bombardamenti sono talmente presenti nella vita di tutti i giorni che falsano la realtà in una normalità apparente. Ci si abitua alle sirene, ai colpi di mortaio e di artiglieria sui quartieri. Come i sei proiettili caduti intorno alle undici e mezza del mattino sul mercato coperto di Saltivka.
Un inferno di fuoco che ha distrutto buona parte del complesso.
«I russi ci danno il buongiorno tardi. Iniziano a bombardarci in maniera costante verso le cinque del pomeriggio», dice un ragazzo. Un metodo per fiaccare la popolazione e farla vivere nel terrore. Non farla dormire. Una palazzina è annerita dalle fiamme. In questo come in altri edifici, non ci abita più nessuno. Troppo pericoloso. Un uomo sta portando via dei sacchi: «Alcuni effetti personali della figlia», spiega. In mano ha un album fotografico, ci tiene a mostrarlo: sono frammenti della sua vita e di quella della sua famiglia. Qui a Saltivka come in altri punti della città la gente fa la fila per il mangiare. Non ci sono soldi, non c’è quasi nulla di aperto. Un gruppo di persone si sbraccia e corre verso una jeep, aspettano un auto di volontari che deve portare loro aiuti. Un uomo alza da terra i resti di un missile come un trofeo: «Questo ci lanciano ogni giorno. Lo vedi il sangue su quella colonna? Sono i resti di una persona che era qui con noi. Una scheggia gli ha tranciato le gambe. E’ morto». Una macchina parcheggiata ha il cofano deformato, conficcato all’interno c’è un Grad inesploso.
IL RIFUGIO
L’auto è davanti a una scuola con le sue grandi finestre saltate, schegge di legno e pezzi di metallo ovunque. Nel seminterrato, in condizioni terribili, senza acqua calda e in un ambiente umido, in mezzo ai tubi di scarico e alla terra, vivono trentacinque persone. Abitano tutti nel quartiere ma da quasi venti giorni vivono come topi in un sotterraneo piuttosto che morire nelle loro case. La maggior parte sono persone anziane. Una signora è seduta dietro la bandiera verde di Kharkiv, città decorata per la resistenza ai nazisti. Una seconda bandiera, con i colori dell’Ucraina, è legata un tubo. Un tradimento, quello della Russia, che qui nessuno potrà mai dimenticare.
Il Gazzettino