«È un'offesa per noi sentir dire che mio figlio si sia suicidato. Un'offesa oltre il dolore indicibile. Ce l'hanno ammazzato e noi non ci arrenderemo...
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L'ALLARME
«Mio figlio negli ultimi mesi era strano racconta Anna agitato, mi diceva di voler tornare a Napoli perché si sentiva sporco. Che voleva lavarsi nel mare di Napoli. Già da mesi mi raccontava che c'era qualcosa che non gli piaceva in quello che faceva e in una delle ultime chiamate mi ha detto di essersi esposto troppo e di essersi messo in un guaio. Lavorava per l'Onu da due anni perché gli avevano offerto un contratto di collaborazione molto più interessante di quello precedente. Prima lavorava per la Pbe, si occupava di processi a cui partecipavano i narcotrafficanti, presenziava e controllava che non ci fossero abusi e che tutto si svolgesse secondo le normative. Per lavorare con quella organizzazione aveva dovuto fare un anno di addestramento, era un lavoro delicato ma lui era contento». Poi nel gennaio del 2019 aveva cominciato a collaborare con l'Onu e si era trasferito nel quartiere di Villa Ferro, noto per la guerriglia negli anni '90 tra le Forze armate della Colombia e il presidente Andrés Pastrana, dove è stato trovato morto. «Era un osservatore internazionale prosegue mamma Anna e per l'Onu si occupava di un progetto che prevedeva la trasformazione in un percorso di rafting di un fiume nella Foresta Amazzonica, noto per il trasporto di cocaina da parte dei narcotrafficanti. Mi aveva mandato anche un documentario».
VIAGGIO DI RITORNO
Anna quando parla del passato è più serena, ma ripensando agli ultimi mesi sprofonda nell'angoscia. «Mario doveva tornare a Napoli il 20 luglio prosegue e aveva fatto anche i biglietti insieme ad una sua collega.
Il Gazzettino