Iran, Khamenei voleva colpire duro ma gli ayatollah non vogliono la guerra. Camera Usa limita poteri di guerra Trump

Una vendetta calcolata, evitando accuratamente vittime americane. Nei giorni in cui milioni di iraniani invadevano le piazze per commemorare il generale «martire»...

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Una vendetta calcolata, evitando accuratamente vittime americane. Nei giorni in cui milioni di iraniani invadevano le piazze per commemorare il generale «martire» Qassem Soleimani, i vertici della Repubblica islamica cercavano di sciogliere il dilemma sulla strategia migliore per la rappresaglia ritenuta inevitabile. Secondo la ricostruzione di un diplomatico di Teheran, a confronto c'era chi avrebbe voluto una risposta almeno equivalente - in altre parole, il tentativo di uccidere un alto ufficiale a stelle e strisce - e chi puntava invece su una reazione spettacolare, ma senza conseguenze irreparabili.


Intanto la Campera dei Rappresentanti Usa ha votato la limitazione dei poteri di guerra per Donald Trump. La risoluzione dovrà ora passare il vaglio del Senato a maggioranza repubblicano.

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L'opzione più prudente avrebbe il timbro del segretario del Consiglio supremo di sicurezza nazionale, il contrammiraglio Ali Shmakhani, che alla vigilia dei raid contro le basi Usa in Iraq aveva indicato 13 possibili «scenari» per la vendetta. Veterano della devastante guerra contro Saddam Hussein degli anni Ottanta ed ex comandante dei Pasdaran, sarebbe stato lui a spingere per i missili telefonati, riconoscendo che l'uccisione di soldati americani avrebbe condotto a una «guerra totale» difficile da sostenere per il popolo iraniano, già fiaccato da anni di draconiane sanzioni.
 
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Un'economia di guerra, era il timore, avrebbe messo definitivamente in ginocchio il Paese e a rischio lo stesso sistema di potere degli ayatollah, dopo le furiose proteste di neppure due mesi fa contro il caro benzina represse nel sangue. A volere una risposta più dura, suggerisce la stessa ricostruzione, sarebbe stata invece la cerchia ristretta della Guida suprema Ali Khamenei, preoccupato di non sembrare «debole» e già con lo sguardo alla sua eredità storica, «per non essere ricordato come il leader che si è arreso agli americani». Se per ora ha prevalso la prudenza, la partita non sembra certo chiusa.

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L'obiettivo di lungo termine resta quello di creare le condizioni per una conclusione, o almeno una riduzione, della presenza militare Usa nella regione, magari tornando al logoramento per procura attraverso le milizie filo-Teheran disseminate dall'Iraq al Libano, senza quel «timbro» ufficiale che Khamenei ha voluto sull'operazione «Soleimani martire». Una verifica interna arriverà in ogni caso tra 40 giorni, quando gli iraniani saranno chiamati alle urne per rinnovare il Parlamento. Un appuntamento che secondo gli analisti sarà una questione tra conservatori e integralisti, con i riformisti costretti a un ruolo marginale, quando non decisi a boicottare del tutto il voto per un'Assemblea in cui temono di non poter cambiare le cose.

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Il Gazzettino