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Le scuole materne di Hong Kong chiudono perché non ci sono abbastanza bambini e chiudono anche quelle internazionali, perché non ci sono abbastanza figli di residenti stranieri da iscrivere. Già 12.000 insegnanti si sono dimessi e hanno cambiato lavoro, o lo hanno trovato all’estero. Da mesi è cominciata una grande fuga dalla città, a causa della repressione cinese che si intensifica e del clima sempre più oppressivo che si respira.
Hong Kong, crollo delle nascite e professionisti in fuga
L’esodo era già iniziato negli anni del Covid, con i confinamenti obbligati che separavano le madri dai loro bambini. Molte famiglie avevano preferito andarsene piuttosto che correre questo rischio. È emigrato chi aveva i soldi per farlo, cioè medici, avvocati, ingegneri, tecnici informatici, tutta gente ad alta qualificazione. Sono andati a Singapore, in Thailandia, a Dubai, dove ci sono frontiere aperte, cordialità e incentivi fiscali. Chi si è trasferito ora manda messaggi ad amici e parenti, perché vengano anche loro. I residenti stranieri sono in gran parte tornati nei paesi d’origine. I siti web che prima si limitavano a suggerire dove si mangiavano i migliori dim sum o quali erano i più rinomati centri della città per i massaggi ai piedi, ora consigliano quali regali d’addio è meglio fare a chi resta e danno consigli sulle pratiche necessarie per espatriare.
CROLLO CONTINUO
Nel 1961 Hong Kong aveva 3,2 milioni di abitanti, diventati 7,5 milioni nel 2019. Ne ha persi 93.000 nel 2020 e continua a perderne decine di migliaia l’anno.
Durante l’occupazione britannica, durata 156 anni e terminata nel 1997, Hong Kong era una colonia e non aveva democrazia, ma godeva almeno di uno stato di diritto, di libertà di espressione e di associazione. Esistevano giornali dinamici, c’era una organizzazione della società civile. Alla cerimonia nella quale la Union Jack fu ammainata era presente l’allora principe del Galles Carlo, oggi sovrano del Regno Unito. Decine di migliaia di persone già allora se ne andarono e chiesero asilo in Gran Bretagna. Con il controllo cinese e con l’arrivo al potere di Xi Jinping quel poco di libertà e di diritti civili che esistevano nella città è stato progressivamente eroso.
Come candidati alle elezioni sono ammessi oggi solo i patrioti, quelli cioè che amano la Cina e il partito comunista. I dissidenti vengono incarcerati, le manifestazioni di protesta represse, l’uso della lingua locale, il cantonese, è scoraggiato per rendere obbligatorio il cinese ufficiale, il putonghua. È vietato commemorare gli anniversari della strage del 1989 di piazza Tiananmen a Pechino, e la polizia può arrestare chiunque sia sospettato di voler compiere «attività terroristiche» o «atti di secessione» dalla Cina. I giornali e i siti dell’opposizione sono già stati chiusi e Xi Jinping vuole evitare ad ogni costo che si ripetano le grandi proteste del passato, con milioni di persone in piazza a manifestare per la loro libertà. Il “movimento degli ombrelli”, così chiamato per gli ombrelli gialli che i dimostranti aprivano in piazza, durò nel 2019 per 79 giorni e mostrò al mondo che la città era determinata a non arrendersi.
LA ZANZARA
Ma Hong Kong è considerata da Pechino solo una zanzara notturna molesta, che ogni tanto punge e ogni tanto si acquieta pur continuando a ronzare. La tiene a bada con un po’ di distacco perché è obbligata dai trattati, ma anche perché non è un caso urgente al contrario di Taiwan, il problema principale da risolvere. Ma gli abitanti sanno che poi toccherà anche a loro, e che l’Occidente a quel punto non avrà forse più né forze né volontà di aiutarli. Meglio dunque andarsene, finché ti permettono di farlo.
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Il Gazzettino