Gilda Ammendola, la napoletana morta in carcere a Parigi: il gip riapre il caso. La famiglia: «Non è stato un suicidio»

Sono i pm della Dda e un giudice del Tribunale di Napoli a sottolineare che la scomparsa di Gilda Ammendola non possa essere classificata a cuor leggero come un suicidio, così come fatto dalle autorità francesi

Gilda Ammendola, la napoletana morta in carcere a Parigi: il gip riapre il caso. La famiglia: «Non è stato un suicidio»
È morta «in circostanze tutt’altro che chiare», su cui è logico pensare che ci siano indagini non ancora concluse. Vicenda strana, poco chiara,...

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È morta «in circostanze tutt’altro che chiare», su cui è logico pensare che ci siano indagini non ancora concluse. Vicenda strana, poco chiara, quella della fine di Gilda Ammendola, la 32enne originaria di Ercolano morta a gennaio scorso in un carcere femminile di Parigi, dove era reclusa da almeno un anno e mezzo con l’accusa di traffico internazionale di eroina. Sono i pm della Dda e un giudice del Tribunale di Napoli a sottolineare che la scomparsa di Gilda Ammendola non possa essere classificata a cuor leggero come un suicidio, così come fatto dalle autorità francesi. Sospetti e anomalie che emergono nel corso di una misura cautelare firmata in questi giorni dal gip del Tribunale di Napoli Luca Battinieri, al termine delle indagini condotte dalla guardia di finanza partenopea per conto della Dda.

Tre giorni fa, sono stati i militari della Finanza a mettere in esecuzione degli arresti contro i presunti registi di una rete di narcotrafficanti napoletani, specializzati nell’acquisto di chili di cocaina in Tanzania e in altri paesi africani, che venivano trattati e rinveduti in Italia, in Francia e in Nord Europa. Ed è proprio all’interno di questa misura cautelare che viene tratteggiato il profilo della 32enne trovata impiccata in cella, dopo essere sbarcata all’aeroporto De Gaulle con una valigia che conteneva droga. Una vicenda che conviene raccontare alla luce del profilo della donna, sempre tenendo in considerazione un punto fermo: sulla morte di Gilda Ammendola - nata a Somma Vesuviana l’undici agosto del 1990 ma vissuta ad Ercolano - pende una inchiesta della Procura di Roma, nella quale si attendono gli esiti dell’autopsia. In sintesi, si cerca di verificare quanto regga l’ipotesi del suicidio, su cui i familiari hanno sempre sollevato le proprie riserve. Difesi dal penalista Nicola Scarpone, i parenti non accettano la storia del suicidio, alla luce di una serie di aspetti: la mattina del decesso, la donna aveva contattato i propri parenti alle pendici del Vesuvio, mostrandosi serena al punto tale da chiedere indumenti e accessori da tenere in carcere, oltre a mostrarsi determinata a chiedere il ritorno in Italia per poter incontrare la propria figlia piccola. 

L'inchiesta

Ma torniamo all’inchiesta napoletana. Il nome di Gilda Ammendola compare assieme a quello dei presunti trafficanti di eroina Marco Iovine, Sabatino De Felice, Raffaele D’Elia, ma anche ad Alfonsina D’Ambrosi, Filomena Mauriello, Anna Cervero, oltre ad alcuni presunti complici di origine africana. Per tutti, una doverosa premessa: sono accusati di reati di droga, vanno considerati innocenti fino a prova contraria e potranno dimostrare le loro eventuali ragioni. Ma torniamo al racconto della vita di Gilda Ammendola. Avrebbe svolto il ruolo di reclutatrice. Adescava le potenziali corriere della droga, che dovevano spacciarsi per turiste in Tanzania o in altre località per portare in Italia o altrove carichi di eroina. In che modo? Con il sistema del doppio fondo. Valigie che all’andata pesavano pochi chili e che diventano di trenta chili al rientro. Per ogni viaggio l’organizzazione avrebbe pagato dalle due alle quattromila euro. Viaggi che evidenziano una rete strutturata attorno al ruolo di uomini e donne, finti manager e sedicenti turiste che passavano da uno scalo all’altro. Ha spiegato agli inquirenti napoletani una donna reo confessa: «Ho viaggiato con Gilda Ammendola, l’ho fatto per soldi». 

Arrestata il 10 luglio del 2021, la cittadina vesuviana venne processata e condannata a cinque anni di reclusione, per essere reclusa nel carcere di Flegry Merogis il 22 gennaio del 2023. Una inchiesta monca, quella francese perché non fece emergere il livello superiore a cui faceva riferimento la donna di Ercolano. Un livello capace di movimentare centinaia di migliaia di euro per ogni trasferta per ogni singolo corriere, in un giro di affari gestito da qualcuno che avrebbe avuto un solo interesse: zittire, in modo o nell’altro, la madrina delle narcos, che aveva svolto il ruolo di reclutatrice. Un sospetto che spinge il gip di Napoli a parlare di «circostanze poco chiare» che non consentono di accettare de plano la storia del raptus suicida, su cui ora si attende una risposta dalla Procura di Roma. 

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Il Gazzettino