PARIGI Non è stata l'apocalisse annunciata dai sondaggi, non i 450, 460, addirittura 470 seggi sui 577 dell'emiciclo, ma è stato un semplice trionfo. La...
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I CAMBIAMENTI
I francesi hanno rivoluzionato il paesaggio politico, ma non l'hanno fatto in massa: ieri l'astensione è stata la più alta nella storia della Quinta Repubblica, con il 56,6 per cento ha polverizzato qualsiasi record negativo. La destra dei Républicains resiste ai peggiori pronostici, potrà contare su più di 120 deputati, il doppio dei sessanta temuti, ma niente rispetto all'Eliseo e alla maggioranza assoluta di cui era certa fino a quattro mesi fa, quando Fillon era ancora il favorito delle presidenziali.
All'estrema destra, il Fronte nazionale deve rivedere al ribasso i sogni di gloria. Non ci saranno i quaranta deputati sognati, e non ce ne saranno nemmeno abbastanza per formare un gruppo parlamentare, per cui di deputati ne occorrerebbero quindici: dovrebbero essere invece otto a sedere all'estrema destra, erano in due nella scorsa legislatura. Tra di loro, e per la prima volta all'Assemblée Nationale, Marine Le Pen, che entra in Parlamento col suo compagno, Louis Alliot.
OPPOSITORI A CONFRONTO
Le Pen ha cominciato subito la battaglia, denunciando un sistema elettorale «antidemocratico» (ha subito annunciato battaglia per chiedere la proporzionale) e un'astensione che rende più fragile «la legittimità dell'Assemblée Nationale». «Siamo la sola forza di resistenza al mastodonte dell'oligarchia», ha detto Le Pen.
Ma all'estrema sinistra, Jean-Luc Mélenchon, eletto a Marsiglia, non è d'accordo. Porta all'Assemblée 26 deputati, tra i ribelli della sua France Insoumise e i comunisti, agguanta la possibilità di formare un gruppo parlamentare e si autoproclama avanguardia dell'opposizione e della «resistenza» al potere di Macron. «L'astensione dimostra che il nostro popolo è entrato in una forma di sciopero generale civico - ha detto Mélenchon - vedo in questa astensione un'energia disponibile. Faremo appello alla resistenza sociale contro il nuovo potere, non cederemo nemmeno un metro di terreno sociale senza combattere».
I socialisti incassano la batosta annunciata: 46 seggi, contando anche gli alleati ecologisti, sono decimati, ne avevano trecento. Il segretario del partito Cambadélis, bocciato già al primo turno, parla per primo, pochi istanti dopo le prime proiezioni. Sono più che sufficienti per ammettere «sconfitta senza appello». In un sussurro chiede - supplica - il neo presidente di aprire il dialogo sociale, mette in guardia dal «potere assoluto concentrato», ma poi rialza i toni per decretare che «la gauche deve cambiare tutto, inaugurare il nuovo ciclo» e rassegna in diretta le sue dimissioni, annunciando per il partito socialista «una direzione collettiva»: «Questa battaglia è persa, ma la guerra contro le disuguaglianze continuerà».
La République en marche! e il Governo hanno riscosso la vittoria senza trionfalismi. «La vittoria è un po' più stretta del previsto - ha detto il ministro e portavoce del governo Castaner, lui stesso eletto - ma la nostra vera vittoria sarà tra cinque anni, quando le cose saranno cambiate». Misurato anche il premier Edouard Philippe: «Abbiamo una maggioranza franca, la Francia ha preferito la speranza alla rabbia, comincia adesso il tempo dell'azione, il governo l'affronterà con grande umiltà e totale determinazione». I sei ministri candidati sono tutti passati.
IL GIORNO SIMBOLO
Emmanuel Macron ha aspettato i risultati come una settimana fa all'Eliseo.
Il Gazzettino