NEW YORK – Lasciate perdere le parolacce di Madonna. La sua provocazione dal palco della manifestazione delle donne, sabato scorso a Washington, ha lasciato il tempo che...
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Il video delle 26 ragazze che cantano “I can’t keep quiet” (non posso stare zitta) è stato visto – nel momento in cui scriviamo - oltre 9 milioni di volte. Ma forse anche di più: la regista israelo-statunitense Alma Har’el ha incontrato il gruppo delle giovani mentre marciava anche lei, ha ripreso le immagini con il suo cellulare e l’ha pubblicato sulla propria pagina Facebook, qui è stato visto da milioni di persone, ma molti altri hanno ripresentato il video a loro volta, accumulando altre centinaia di migliaia di visite. Insomma: #ICantKeepQuiet è diventato l colonna sonora della manifestazione e della resistenza contro la presidenza Trump.
La cantante che l’ha creato è una giovane di Los Angeles, Connie Lim, in arte Milck. Ha raccontato di aver scritto la canzone subito dopo l’elezione di Donald Trump, per esprimere la propria volontà di reagire. Milck rivela anche di soffrire di depressione e di essere stata vittima di violenza sessuale, e nella canzone-inno ha riversato il desiderio di riscatto: “In questa stagione di paura, propaganda e discriminazione – ha dichiarato – è critico che le voci degli individui vengano sentite. Io in questa canzone affermo che non starò zitta davanti a chi voglia promuovere l’oppressione”.
Quando ha deciso di andare a Washington alla marcia, Milck ha cercato altre giovani cantanti che potessero interpretare l’inno insieme a lei durante la manifestazione. Ha trovato l’adesione delle 14 ragazze del coro a cappella della George Washington University. In seguito anche altre volontarie si sono aggiunte. Ma erano tutte in luoghi diversi del Paese, quindi si sono esercitate via Skype. Il giorno della marcia hanno fatto un’unica prova. Poi hanno cominciato a sfilare, interpretando l’inno varie volte durante l’intera giornata. E’ stato così che la regista Har’el le ha viste e immortalate: “Mi hanno fatto piangere” ha ammesso la Har’el.
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Il Gazzettino