Proroga breve, a patto di riuscire finalmente a strappare - a un tiro di schioppo dal baratro - la problematica ratifica di Westminster sull'accordo di divorzio raggiunto a...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
In una lettera al presidente Donald Tusk, l'estensione delle procedure d'uscita previste dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona viene richiesta con uno spostamento dal 29 marzo a «non oltre il 30 giugno». Scelta che May giustifica già nel Question Time con accenti categorici e di recriminazione. Dice all'aula che «è tempo di attuare la volontà popolare, come il popolo merita», dichiarandosi «contraria» senza se e senza ma a un rinvio protratto nei mesi e definendo «inaccettabile» un ipotetico coinvolgimento britannico nel prossimo voto europeo «a tre anni dal referendum» pro Leave del 2016: «il più grande esercizio democratico nella storia» del Regno Unito. Rispondendo al grido «dimissioni» delle opposizioni, imputa quindi all'assemblea d'essersi «concessa fin troppo all'Europa», di aver bocciato non solo il suo accordo (due volte), ma pure le alternative di un secondo referendum o del piano B del leader laburista Jeremy Corbyn per una Brexit soft con permanenza nell'unione doganale.
Brexit, crisi politica in Gran Bretagna. May chiede rinvio a Tusk
Juncker, possibile vertice straordinario su Brexit
«Ora - alza la voce, liquidando alla stregua di una bestemmia contro la democrazia diretta ogni idea di revoca dell'articolo 50 - questa Camera deve affrontare le conseguenze delle sue decisioni»: la strada offerta da lei o un orizzonte da cui «non può essere tolto dal tavolo il no deal». Il duello con Corbyn è aspro. Il capo del Labour le rinfaccia d'essersi inchinata ai «brexiteer estremisti» del governo e della sua coalizione (beccandosi per tutta risposta l'accusa di «non rispettare il voto del 2016»); denuncia «l'incompetenza, i fallimenti e le intransigenze» di Downing Street; torna ad auspicare «un compromesso» sul suo piano B; evoca in caso contrario una nuova mozione di sfiducia per provare a far cadere la premier; annuncia di voler andare anche lui in segno di sfida a Bruxelles per incontrare il negoziatore Ue Michel Barnier. A Bruxelles, però, l'interlocutrice resta per ora inevitabilmente lady Theresa. Tusk le offre una mezza sponda parlando di una proroga breve come d'una soluzione «possibile, ma condizionata a un voto positivo ai Comuni» entro la settimana prossima.
Senza escludere un ulteriore summit straordinario prima del 29 marzo: potrebbe essere addirittura il giorno prima, il 28, è l'indicazione raccolta a Bruxelles.
Il Gazzettino