A pochi giorni dal consiglio dei ministri che dovrà scrivere la riforma della dirigenza pubblica, si infiamma il fronte sindacale. A far discutere maggiormente è...
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L'APPUNTAMENTO
La riforma dovrebbe arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri di giovedì. I punti salienti sono noti. Una volta decaduti dagli incarichi, i dirigenti dovranno partecipare a interpelli per trovare una nuova collocazione e saranno valtuati da una commissione indipendente. Il posto da dirigente non sarà più senza scadenza. Un incarico non potrà durare più di quattro anni rinnovabili per altri due anni. Poi bisognerà cambiare ufficio. Chi non trova una collocazione e rimarrà senza incarico, non percepirà la parte variabile della retribuzione. Per ogni anno che passa senza un ruolo operativo, il dirigente si vedrà decurtata anche la retribuzione fissa del 10%. Dopo sei anni fuori dai ranghi, il dirigente potrà essere licenziato, a meno che non accetti volontariamente di essere degradato a semplice funzionario. La dead line per approvare definitivamente le norme sulla dirigenza pubblica è il 28 di agosto, poi la delega al governo andrà a scadenza. Il decreto dovrà comunque fare il suo iter parlamentare e ottenere il parere del Consiglio di Stato. Il testo che licenzierà il governo, insomma, è probabile che non sia quello definitivo. Secondo alcune fonti, inoltre, potrebbe anche essere assorbito nella riforma del pubblico impiego che dovrà essere invece varata entro febbraio del prossimo anno.
La questione della dirigenza pubblica si incrocia con quella del rinnovo del contratto. Ieri secondo una indiscrezione raccolta dal segretario generale della Uil Fpl Giovanni Torluccio, il governo avrebbe deciso di stanziare 2,5 miliardi nel triennio. Una cifra superiore agli attuali 900 milioni (300 l'anno) ma giudicata dal sindacato ancora insufficiente.
A. Bas.
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Il Gazzettino