Le previsioni erano per il “No”. E anche le dimissioni del premier Matteo Renzi erano nel conto di quel 20% di rosso da inizio anno per la Borsa di Milano. Con tanto...
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Gli operatori vigili al desk prima del solito a prima mattina, si sono quindi trovati a gestire una giornata di ordinaria volatilità, niente di più. Prima il calo del 2% in apertura per la Borsa di Milano, poi il recupero (-0,22%). Mentre il resto dell’Europa viaggiava il rialzo e Wall Street toccava l’ennesimo record storico. Anche lo spread volato a 172 punti con il rendimento dei titoli di Stato al 2%, ha battuto la ritirata poco dopo fino a quota 165 punti (poco sopra i 162 punti di venerdì scorso). Con l’euro che dopo aver toccato nella notte i minimi dal 2003 sul dollaro a quota 1,05, è risalito riportandosi a 1,072 nei confronti del biglietto verde (1,0669 venerdì in chiusura).
Insomma per il panico non c’è stato spazio. Per la speculazione neppure. Perchè c’è il paracadute Bce, si sa. E perchè già giovedì Mario Draghi potrebbe allungare i tempi del piano di acquisti di titoli Ue, con l’aria che tira anche sulle prossime elezioni europee. Ma anche perchè con una maggioranza parlamentare salda e la prospettiva di un governo tecnico che cambierà la legge elettorale, anche la paura peggiore, e cioè quella dell’arrivo al governo degli M5S, è per ora scongiurato, si dice.
Dunque? Il vero problema per l’Italia, ancora di più dopo il referendum, rimangono le banche. A partire dal nodo delle ricapitalizzazioni di Mps e Unicredit. Si capisce bene dalle vendite che hanno investito il settore (-2,19%) e in particolare Mps (-4,21%) nel giorno del rinvio della firma del contratto per l’aumento di capitale e Unicredit (-3,36%) alla vigilia del consiglio di amministrazione straordinario. Quanto a Bpm (-7,91%) e Banco Popolare (-7,44%) hanno pagato in Borsa lo stop del Consiglio di Stato alla riforma sulle banche popolari visto che potrebbero essere costrette a sborsare oltre 200 milioni agli azionisti che hanno esercitato il recesso.
Ma è più in generale lo spettro delle elezioni anticipate a pesare ora sull’interno sistema bancario per il Credit Suisse. Tra rischi di potenziali bail in, di un aumento del rischio a livello sistemico e di un incremento dei costi di finanziamento a seguito di possibili declassamenti da parte delle agenzie di rating, non c’è da stare troppo allegre tra le banche, dicono gli analisti. La consolazione è che almeno per le agenzie di rating l’Italia non è da declassare. «Non ci sono ricadute immediate», dice Standard&Poor’s. Dello stesso tono la posizione di Fitch: «Aumenta l’incertezza politica». E questa non è certo un bene per le banche, dicono gli analisti.
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Il Gazzettino