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In Italia l'occupazione ha recuperato i livelli del 2019, ma il numero di ore lavorate resta al di sotto del periodo pre-Covid. E questa ripresa diseguale ha acuito il problema delle retribuzioni per le fasce più esposte, quelle dei lavoratori poveri. Il rapporto Inps presentato ieri dal presidente Pasquale Tridico evidenzia problemi storici del nostro Paese, ma anche gli effetti dei fenomeni più recenti. A partire dall'inflazione, che il prossimo anno si rifletterà in un incremento delle pensioni in essere. A questi livelli di variazione dei prezzi (a fine anno potrebbe attestarsi al di sopra dell'8 per cento) il dovuto recupero di potere d'acquisto si tradurrà in un maggior esborso per lo Stato pari a circa 24 miliardi. Va ricordato che la rivalutazione dei trattamenti pensionistici avviene sempre l'anno successivo a quello in cui l'inflazione si è manifestata, per cui quest'anno l'incremento spettante è solo dell'1,9 per cento. Il quadro dei pensionati non si discosta di molto da quello tradizionale, con circa il 40 per cento (su 16 milioni totali) che hanno un reddito lordo inferiore ai 12 mila euro l'anno, escludendo però maggiorazioni e altre prestazioni sociali aggiuntive. Si conferma anche il divario tra uomini e donne, con le seconde che hanno un reddito pensionistico medio inferiore del 37 per cento (1.387 euro contro 1.919) a causa in parte della diversa retribuzione oraria, ma soprattutto del fatto che lavorano mediamente meno (non solo per i contratti part time) e chiudono la propria carriera con un'anzianità contributiva più bassa. Questo fenomeno è evidente anche se si guarda agli andamenti delle retribuzioni nel 2021, anno nel quale le lavoratrici hanno avuto una retribuzione media annua inferiore del 25 per cento a quella maschile. Se però il confronto è sui contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno, a cui corrisponde una prestazione non spezzata nel corso dell'anno, allora lo scarto si riduce all'11 per cento.
Da riforma pensioni a salario minimo, il lavoro che verrà
Ma le analisi dell'istituto previdenziale guardano anche più avanti, agli assegni previdenziali che attendono i lavoratori di oggi. Una simulazione esamina nel dettaglio la situazione della cosiddetta generazione X, che comprende i nati tra il 1965 e il 1980.
GLI ANDAMENTI DEMOGRAFICI
D'altra parte il futuro del sistema pensionistico è pesantemente condizionato dagli andamenti demografici. Nel rapporto è riportato il bilancio tecnico delle gestioni amministrate dall'Inps. Con le tendenze attuali l'istituto avrebbe nel 2029 un patrimonio netto negativo per 92 miliardi, per effetto dei disavanzi che si accumuleranno anno per anno. È un dato che non deve preoccupare i percettori presenti e futuri di pensione, visto che le prestazioni Inps sono garantite dal bilancio dello Stato; dà però l'idea degli scenari che si stanno delineando, nonostante le riforme previdenziali degli anni passati. E a proposito di riforme, dal 2023 potrebbero essere introdotti ulteriori elementi di flessibilità, al posto dell'attuale quota 102: le diverse proposte hanno un costo variabile. Quella relativamente meno impegnativa dal punto di vista finanziario è stata portata avanti proprio dal presidente dell'Inps: prevede l'anticipo a partire dai 63 anni della sola quota contributiva della pensione ed ha un costo stimato di circa 2,5 miliardi al 2030.
Al di fuori della materia pensionistica, altre simulazioni riguardano gli incentivi all'occupazione, attuati normalmente attraverso decontribuzione. Il risultato generale è che questi interventi funzionano quando sono consistenti e mirati su categorie specifiche (come quelli riservati a giovani, apprendisti e donne). L'impatto positivo non si vede invece quando le misure hanno una portata troppo generale (come nel caso della decontribuzione Sud).
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Il Gazzettino