Garantire lo sviluppo/ Credibilità, unico test per i mercati

Garantire lo sviluppo/ Credibilità, unico test per i mercati
La reazione fortemente negativa dei mercati in risposta al quadro delineato dal Def va seriamente meditata. Non si tratta infatti di una risposta emotiva a una decisione non...

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La reazione fortemente negativa dei mercati in risposta al quadro delineato dal Def va seriamente meditata. Non si tratta infatti di una risposta emotiva a una decisione non prevista dal mercato. O meglio, si tratta anche di questo, ma l'ondata di vendite è soprattutto frutto di calcolo da parte degli operatori, e quindi assai più pericolosa perché ha in sé la spinta della convinzione oltre che della scommessa. Sia chiaro, non esiste un dogma sul deficit né vi è violazione etica o morale nel superarne l'obiettivo precedentemente fissato.


Si tratta di una mera convenzione, perciò modificabile, e comunque assai criticata anche da economisti ortodossi. E dunque, fissarne la soglia al 2,4% piuttosto che al 2% o all'1,6% non ha rilievo in sé, sempre naturalmente che il governo si assuma la relativa responsabilità. Non è perciò sulla decisione in quanto tale che i mercati - laici per definizione - hanno espresso il loro voto facendo impennare nuovamente il differenziale Btp-Bund a quota 280 e abbattendo l'indice di Borsa del 4%; i mercati hanno votato sulle conseguenze di questa scelta, dopo aver fatto quattro conti sugli effetti che un ampliamento così anomalo del deficit avranno sul debito pubblico e, a cascata, sugli altri indicatori che segnalano lo stato di salute di un Paese. E' pressoché certo, infatti, che gran parte della manovra che il governo si appresta a varare avverrà accrescendo il debito, invece di diminuirlo come dovrebbe (e non solo perché ce lo chiede la Ue); ciò produrrà un rialzo degli interessi da corrispondere ai finanziatori per il maggior rischio che dovranno assumersi nell'acquistare i nostri titoli; sicché lo stock presente nei portafogli degli investitori si ridurrà di valore: una iattura specie per le banche, che saranno chiamate a reintegrare il patrimonio se vorranno mantenere lo stesso livello di prestiti (ciò spiega l'immediato e violento crollo dei titoli bancari in Borsa); in altre parole, l'intera idraulica finanziaria del Paese ne soffrirà, con mutui e prestiti più costosi per i privati e maggiori difficoltà di finanziamento per le imprese. Per di più, visto l'effetto domino che si produrrebbe, è assai probabile che gran parte delle risorse destinate alla perequazione tra le diverse categorie di cittadini finirebbe per essere riassorbita dall'aggravio che si avrebbe in termini di costi generali.

Ma il calcolo degli operatori si spinge oltre, e nella valutazione dell'azione di governo comprende anche la qualità dell'imminente manovra finanziaria. Se verrà confermata l'impostazione a 33 miliardi fin qui delineata, con grande prevalenza per blocco degli aumenti Iva (12,5 miliardi), reddito di cittadinanza (10 miliardi), riforma della legge Fornero (6-8 miliardi), prima tranche della flat tax (1,5 miliardi), ristoro dei risparmiatori danneggiati dai crack bancari (1,5 miliardi), per gli investimenti infrastrutturali resterà ben poco, rendendo perciò ancor più evanescenti gli effetti degli interventi.
Ieri il premier Conte, probabilmente percependo che per il ministro Tria sarebbe imbarazzante presentare in Parlamento un progetto che palesemente non condivide, ha tentato di mettere una pezza annunciando 15 miliardi di nuovi investimenti nel prossimo triennio: non una parola sui progetti che essi dovranno sostenere, soprattutto non una parola su come verranno finanziati. Il che fa pensare che, qualora all'annuncio facciano seguito fatti concreti, il ricorso a nuovo debito sarà inevitabile.


Questi dunque i ragionamenti sulla base dei quali ieri i mercati hanno espresso il loro voto, e queste probabilmente saranno le valutazioni delle agenzie di rating che a metà ottobre esamineranno il contesto e i provvedimenti proposti giungendo probabilmente ad una valutazione non positiva se non, addirittura, a un declassamento dell'Italia con conseguenze intuibili sul fronte dell'aggravio degli interessi sul debito. Né basterà sostenere che anche la Francia si è presa certe libertà in materia di deficit e nessuno ha protestato: ben diverse infatti sono le condizioni dei conti pubblici dei cugini d'Oltralpe, soprattutto con riferimento al debito pubblico, per pretendere un pari trattamento. Paradossalmente, in questa fase preoccupa meno la reazione di Bruxelles, tra poche settimane chiamata a valutare il rispetto delle regole in materia di manovre finanziarie. Preoccupa meno non tanto per la qualità del giudizio che verrà espresso - e già si intravede una traccia nei primi commenti del commissario Pierre Moscovici, un borioso custode dell'ortodossia dalle battute non proprio felicissime - quanto perché gli investitori internazionali hanno imparato a prezzare il paese nella sua complessità, indipendentemente dai richiami europei. Il che da parte loro non significa una scommessa al buio, tanto è vero che quest'anno le vendite dall'estero di titoli pubblici si sono fatte sentire come non mai. Sarà perciò compito del governo dimostrare che oltre ai proclami e ai costosi provvedimenti varati per consolidare il consenso, c'è una volontà seria di rilanciare il Paese. La manovra è alle porte, ieri il mercato ha dato un segnale: sarà bene che i partiti di governo comincino a riflettere sul fatto che la credibilità - la merce più apprezzata dai mercati - spesso richiede sacrifici in termini di consenso. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino