Coronavirus, il viceministro Misiani: «Lavoratori in nero? Non è tempo di distinzioni»

Coronavirus, il viceministro Misiani: «Lavoratori in nero? Non è tempo di distinzioni»
Ridurre le polemiche sul fondo di solidarietà dei comuni contro il coronavirus ed evitare le distinzioni tra lavoratori in nero e in regola. Lo ha detto il viceministro...

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Ridurre le polemiche sul fondo di solidarietà dei comuni contro il coronavirus ed evitare le distinzioni tra lavoratori in nero e in regola. Lo ha detto il viceministro dell'Economia Antonio Misiani alla trasmissione Circo Massimo su Radio Capital. «Con quei 400 milioni dobbiamo dare una mano alle famiglie che non hanno alcun tipo di sostegno, quindi a chi non prende reddito di cittadinanza - ha spiegato - possiamo aiutare un milione di famiglie e non mi sembra poco. Sono famiglie che non avevano la possibilità di acquistare generi di prima necessità e l'avranno nel momento in cui i comuni si organizzeranno come in silenzio e senza polemiche stanno iniziando a fare la stragrande maggioranza dei sindaci italiani» conclude Misiani.


Sui lavoratori in nero «Non dò giudizi di valore; ho le mie idee per quanto riguarda le legalità e le tengo ferme, ma in una condizione di emergenza nazionale, in cui c'è un'epidemia, e chiediamo a tutte le famiglie italiane di rimanere a casa e di non lavorare, è chiaro che noi dobbiamo prevedere un sostegno il più universalistico possibile. Non è il tempo della distinzione. Abbiamo bisogno di dare sicurezza e sostegno a tutti gli italiani in condizione di bisogno». 

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Sul fondo di solidarietà dei comuni «bisogna ricondurre le polemiche più o meno strumentali ai fatti e ai numeri. Il governo più o meno 13 giorni fa ha stanziato 9,6 miliardi che vanno ad aiutare quasi 20 milioni tra lavoratori e famiglie; poi chiaro che non passiamo arrivare da per tutto. C'è un segmento piccolo ma significativo di famiglie escluse dal welfare, dobbiamo arrivare anche al loro. E il senso di questi 400 milioni di euro è esattamente: aiutare un milione di famiglie a mangiare, ad acquistare beni di prima necessità». Questi 400 milioni, «noi li diamo ai comuni perché sono i sindaci che possono conoscere molto meglio dell'Inps chi è in condizione di bisogno e chi non prende il reddito di cittadinanza o la cassa integrazione». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino