Lo spettro della recessione aleggia su quello della Brexit. La Bank of England (BoE) si unisce al coro degli allarmi sui rischi legati a un ipotetico divorzio della Gran Bretagna...
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E da Francoforte il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, avverte che nel caso di una Brexit «non ci sarà nessuna rinegoziazione per il Regno Unito: dentro significa dentro e fuori significa fuori», sottolineando che «per i britannici si tratta della decisione più importante in una generazione». Per l'agenzia Moody's l'uscita «potrebbe avere un impatto negativo sull'affidabilità creditizia» del Paese. Il monito della Banca d'Inghilterra, miccia d'immediate polemiche politiche a Londra, arriva dal governatore Mark Carney in una circostanza del tutto istituzionale: il rapporto periodico sull'inflazione a conclusione d'una riunione del Monetary Policy Committee (Mpc).
E fa il paio con quello che - su un piano diverso - lancia da Berlino il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker: se ieri Pier Carlo Padoan, a Londra per un meeting della Bers, aveva parlato di «incubo», oggi Juncker ha paventato la Brexit addirittura alla stregua d'una «catastrofe», notando da una lato come l'Europa abbia «bisogno del pragmatismo britannico» e dall'altro come non si possa escludere che l'esempio dell'isola possa poi «sollecitare la stessa voglia in altri Paesi» tracciando il cammino verso la disgregazione. Carney e la BoE guardano tuttavia soprattutto al fronte interno. E ai numeri. La Banca d'Inghilterra, dopo aver tagliato le stime sul Pil al 2% (da 2,2%) per il 2016 e per i due anni successivi, lasciando ancora una volta invariati al minimo storico i tassi d'interesse, avverte che la previsione di aumento dei prezzi si assesterà sullo 0,9% a settembre, ma solo se il Paese resterà nell'Ue.
Ove dovesse uscirne, i parametri andrebbero rivisti. Il divorzio infatti, si legge nella nota dell'Mpc, «potrebbe condurre a un percorso di crescita concretamente più basso e in particolare a un livello più alto d'inflazione». Non solo, per la banca centrale l'alternativa in caso di Brexit rischierebbe d'essere fra un decremento, «forse acuto», dell'occupazione, e un'impennata dell'inflazione Il timore s'incrocia con i dati già negativi sull'industria, punto debole dell'economia britannica, tornata ufficialmente in recessione dopo la certificazione di un -0,4% della produzione per il secondo trimestre consecutivo e una riduzione su base annua (trainata dal tracollo del settore delle acciaierie in crisi) dell'1,9%: il peggiore dal 2013.
Per il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, titolare del Tesoro nel governo conservatore di David Cameron e sostenitore come il premier dello schieramento pro-Ue, quello di Carney e della Bank of England è «un ammonimento chiaro e inequivoco». «La Banca ci dice - rimarca Osborne - che se usciamo dall'Ue o le famiglie avranno redditi più bassi a causa dell'inflazione più alta o l'economia ne risulterà colpita con un taglio dei posti di lavoro e degli standard di vita.
Il Gazzettino