Balneari, stop della Ue ai rinnovi automatici: «Bisogna fare le gare». Comuni autorizzati a intervenire sulle concessioni

La Corte di giustizia richiama l’Italia sulla gestione delle spiagge

Ancora un altolà europeo all’Italia sulle concessioni balneari. Per la Corte di giustizia dell’Ue, le licenze dei circa 15mila stabilimenti che occupano i...

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Ancora un altolà europeo all’Italia sulle concessioni balneari. Per la Corte di giustizia dell’Ue, le licenze dei circa 15mila stabilimenti che occupano i litorali del Belpaese vanno rimesse a gara, proprio come prevede la direttiva europea sulla concorrenza. «Le concessioni di occupazione delle spiagge italiane – hanno ribadito ieri i giudici di Lussemburgo – non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente». Una pronuncia attesa, quella dei magistrati europei. Il cui esito appariva però in qualche modo scontato, visto che non è la prima volta che una sentenza richiama l’Italia sulla necessità di far applicare le regole europee anche al settore del turismo balneare. 

La decisione arriva in seguito a un ricorso in via pregiudiziale del Tar della Puglia, che aveva chiamato in ballo la Corte Ue in relazione a una causa tra l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato e il Comune di Ginosa, in provincia di Taranto. E i giudici di Lussemburgo spiegano che «tanto i giudici nazionali quanto le autorità amministrative sono tenuti ad applicare le norme pertinenti del diritto Ue, disapplicando le disposizioni nazionali non conformi», come quella relativa al rinnovo automatico e generalizzato delle licenze esistenti. 

IL PARERE
Insomma, se la Commissione prende altro tempo rispetto all’invio all’Italia di un parere motivato, nell’aria da giorni (passaggio che attiverebbe la seconda fase della procedura d’infrazione Ue), ci pensa la Corte di giustizia a inviare un messaggio chiaro a palazzo Chigi: in nome del primato del diritto europeo, anche in presenza di una disciplina nazionale difforme, toccherà alla magistratura e alle amministrazioni locali ignorare le regole italiane e dare precedenza al dettato normativo Ue. 

Sul caso si consuma pure un giallo tutto brussellese: la Commissione, infatti, dapprima haconfermato a microfoni aperti e per bocca di una sua portavoce che il tema balneari era stato toccato «con spirito costruttivo» una settimana fa, nel faccia a faccia romano tra la premier Giorgia Meloni e il commissaria al Mercato interno Thierry Breton. «Meloni ha garantito che l’Italia applicherà il diritto europeo», assicura la Commissione. Poco dopo, invece, palazzo Berlaymont fa un passo indietro e correggere il tiro: «Nessuna delle due parti ha preso impegni riguardo ai prossimi passi». E così, torna in dubbio anche quella promessa che, secondo la prima versione della Commissione, Meloni avrebbe fatto a Breton. Ovvero: impegnarsi ad anticipare la messa a gara delle spiagge rispetto alla scadenza delle concessioni prevista dall’ultimo milleproroghe, cioè fine 2024. Ed è facile prevedere che il tema tornerà presto al centro del confronto con la Commissione. 

LO SCONTRO
Del resto, da quasi vent’anni il sistema delle concessioni ai lidi privati rappresenta un banco di prova per le relazioni tra Roma e Bruxelles, destinato a riaccendersi ciclicamente. All’origine dello scontro c’è la cosiddetta direttiva Bolkestein (dal nome dell’allora commissario europeo che battezzò la liberalizzazione dei servizi nel mercato interno Ue): approvata nel 2006, obbliga gli Stati membri a bandire gare per la concessione di beni pubblici demaniali, tra cui le spiagge, in nome della libera concorrenza. Una misura osteggiata a varie riprese dal nostro Paese, a difesa delle proroghe automatiche delle licenze esistenti, come quella - da ultimo - fino al 2024 contenuta nel Milleproroghe, che un mese fa era stata già bocciata dal Consiglio di Stato. 

C’è però un passaggio, nella decisione della Corte, che fa sperare chi – come Lega e Forza Italia – punta a difendere gli attuali titolari delle concessioni. I giudici, infatti, riconoscono la possibilità di valutare la «scarsità» o meno delle spiagge (criterio che giustifica la messa a gara) anche attraverso un «approccio generale e astratto, a livello nazionale». Ossia, secondo la Lega, procedendo alla «mappatura» delle spiagge, che potrebbe mandare in lungo tutta l’operazione. Una lettura contestata dall’opposizione. Ma che anche nello stesso governo c’è chi giudica eccessiva: «La sentenza, semmai, dice che le gare vanno fatte». 


 

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Il Gazzettino