Armani apre per la prima volta a un'azienda partner: «Basta sia italiana»

Armani apre per la prima volta a un'azienda partner: «Basta sia italiana»
Lo dice così, tra una battuta e l'altra, quasi fosse una cosa da niente. Ma la notizia è una bomba nel mondo della moda: Armani apre per la prima volta alla...

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Lo dice così, tra una battuta e l'altra, quasi fosse una cosa da niente. Ma la notizia è una bomba nel mondo della moda: Armani apre per la prima volta alla possibilità di avere una azienda partner italiana. Lo fa in una lunga intervista rilasciata a Vogue Usa: «Si potrebbe pensare all'unione con un'importante azienda italiana», dice chiaramente. L'idea di continuare come marchio indipendente «non è strettamente necessaria» aggiunge lo stilista-imprenditore. Unica condizione per rinunciare all'indipendenza è che il partner sia italiano, ma non necessariamente - aggiunge - una fashion company.

Nella lunga intervista a Vogue Usa, Armani spiega anche di avere in mente di passare larga parte del business alla sua famiglia, in particolare alla nipote Roberta e al suo braccio destro Leo Dell'Orco. Quello che manca, però, «è qualcuno che dica si o no. Non c'è ancora - dice Armani - un boss». La nipote Roberta, da anni al suo fianco, spiega di essere sicura che lo zio abbia fatto i suoi piani ma di non sapere nulla dell'eventuale ingresso di un partner, ma «sarebbe bello, finalmente, avere un'importante joint venture made in Italy nell'industria della moda». Nel frattempo, Armani è tutt'altro che fuori dai giochi, anzi: al giornalista che gli ricorda che una volta disse che sarebbe stato ridicolo essere tra i top designer a 85 anni, dice di aver spostato l'asticella ai 90. E basta vederlo lavorare per vedere che è tutt'altro che vicino alla pensione, tanto che lo infastidiscono - racconta - colleghi e competitor che parlano di lui come se fosse così celeste da essere fuori dai giochi. Insomma «come se fossi un presidente onorario», mentre «io sono il primo ministro». «Io voglio lavorare, decidere, cambiare le cose» sottolinea lo stilista, che già dalle prime fasi dell'emergenza covid non ne ha sbagliata una: è stato il primo a fare la sfilata a porte chiuse appena avuta notizia del primo caso noto italiano, il primo a fare una maxi donazione agli ospedali, il primo a convertire i suoi stabilimenti per la produzione di dpi, il primo ad aprire il dibattito sul senso della moda con una lettera aperta rivolta al settore. 

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Il Gazzettino