Un nuovo paracadute pubblico. Un prestito fino a 350 milioni di euro per consentire alla cordata che vuole salvare Alitalia di chiudere l’operazione. Dopo le anticipazioni...
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Ma il primo gennaio, salvo colpi di scena o nuove proroghe, Alitalia deve anche restituire circa 150 milioni (cioè tutto quello che avrebbe in cassa) per pagare almeno gli interessi sul prestito ponte da 900 milioni dello Stato. Si ritroverebbe cioè a quota zero per affrontare il 2020. Senza soldi, semplificando, per pagare stipendi e carburante. Da qui la necessità, proprio per evitare che gli aerei restino a terra e i lavoratori a casa, di un nuovo intervento pubblico o di una diversa modulazione del prestito esistente. Difficile immaginare come potrà muoversi il Tesoro, di certo il sentiero è stretto anche in considerazione dei vincoli europei, dei paletti sugli aiuti di Stato. Sempre il dossier calcola che da gennaio a marzo 2020, termine entro il quale presumibilmente i nuovi soci prenderanno la cloche di Alitalia, possano servire fino a 350 milioni.
Una cifra massima, s’intende, per assicurare il normale svolgimento dell’operatività aziendale. Senza contare però gli oneri legati agli ammortizzatori sociali e ai circa 2 mila esuberi che il Mise dovrà gestire. Si tratta, come evidente, di una partita complessa che con l’avvicinarsi della scadenza del 15 ottobre richiede decisioni rapide per evitare il peggio. Non a caso Palazzo Chigi vuole vederci chiaro e in queste ore sta analizzando con attenzione tutte le opzioni. Il premier Conte vuole procedere in maniera pragmatica, provando a sciogliere i nodi uno alla volta. Si partirà in settimana con il vertice con la società del gruppo Benetton, un summit decisivo per sbloccare il salvataggio. Alternative, nonostante il fuoco di sbarramento di una parte dei grillini, non ce ne sono.
Tant’è che anche ieri la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, esponente del Pd, ha gettato acqua sul fuoco. «Non ho letto - ha detto da Maria Latella a Sky - la lettera di Atlantia che lega l’intervento nella compagnia alle scelte sulle concessioni come un ricatto. Resta che il gruppo deve sapere che questi due piani rimangono separati». Sia come sia resta la forte preoccupazione del ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli per la liquidità del vettore agli sgoccioli che, come detto, richiederà con ogni probabilità un nuovo prestito pubblico. Sempre che lo schema della Nuova Alitalia (con rispettivamente al 35% i Benetton e Fs, affiancati dal Tesoro al 15% e Delta al 10-12%) si chiuda in fretta. Conte dovrà non solo dare rassicurazioni ad Atlantia sulle concessioni, ma anche convincere Delta ad essere più generosa con il vettore tricolore sul fronte delle rotte per il Nord America. Perché l’attuale piano industriale elaborato da Delta, almeno per Atlantia, è solo un «rischioso salvataggio con esiti limitati nel tempo». Si parla di almeno 2.000 esuberi con una riduzione della flotta in particolare sul lungo raggio - «il contrario di ciò che aveva detto la politica», nota Andrea Giuricin, docente di economia dei trasporti a Milano Bicocca, fellow dell’Istituto Bruno Leoni. Possibile - aggiunge - che la scadenza del 15 ottobre «non verrà rispettata.
Per il salvataggio si andrà quindi ai tempi supplementari. I sindacati sono ovviamente sul piede di guerra: piloti e assistenti di volo hanno proclamato uno sciopero di 24 ore il 9 ottobre mentre anche i confederali preparano la mobilitazione. Tornano d’attualità le parole dell’ex di numero uno di Air France-Klm, Cyril Spinetta: per Alitalia ci vorrebbe proprio l’esorcista.
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Il Gazzettino